Keith Jarret, 50 anni fa le prime note di una suspence vissuta in diretta

di Guido Michelone

“Le prime note sono di attesa, come se Jarrett e il Bösedorfer fossero due belve che si stessero
studiando, occhi negli occhi. Il suono del pianoforte era qualcosa che andava aldilà delle più nere
previsioni; sembrava uscire da uno strumento da barrell house (pare che non fosse stato nemmeno
revisionato!) e non da un gran coda da concerto. Gli acuti erano al limite dello stridore e i bassi al
limite della sordità; davvero, chiunque avrebbe chiuso il coperchio e salutato il pubblico! I primi
minuti sono la reale descrizione di una suspence vissuta in diretta, ma poi Jarrett si getta a capofitto
(…)” è Gaetano La Montagna che, su ‘Onda Rock’ recensisce un Keith Jarrett di mezzo secolo fa.
Esattamente mezzo secolo fa, infatti, il pianista americano – allora ventinovenne, con genitori
ungheresi, nativo di Allentown, ma newyorchese di esperienza – si esibisce a Colonia per quello che
sarà ricordato fino a oggi come The Köln Concert soprattutto grazie al disco (in origine un doppio
33 giri) edito sul finire del 1975 dall’etichetta ECM di Monaco di Baviera. Musicalmente è
un’improvvisazione jazz solista eseguita su un grancoda al teatro dell’opera della città tedesca
esattamente il 24 gennaio The Köln Concert, intriso di influenze folk e classiche, non solo risulta il
più noto album dello stesso Jarrett, ma anche una pietra miliare della musica del Novecento, oltre
un vero long seller con 3 milioni e mezzo di copie vendute da allora a oggi; e sulla prestigiosa guida
londinese Jazz: The Rough Guide (1996) gli autori Cook e Morton lo giudicano un capolavoro ‘che
scorre con calore umano’.
Il concerto a Colonia fa parte di un tour europeo cominciato due anni prima; in precedentemente,
keith suona in band di tre o quattro elementi e per un breve periodo nel settetto elettrico di Miles
Davis. Per richiesta di quest’ultimo abbandonato il piano acustico per le tastiere (rhodes e
hammond) che non userà mai più, giacché il tour da solista diverrà il grande ritorno a una vena
artistica naturale e personalizzata.
Quello che oggi è pensato come un avvenimento mitico, consta di impreviste difficoltà: Jarrett
arriva in teatro poche ore prima del recital, pronto per il check pianoforte, Jarrett nota subito che
manca lo strumento pattuito, un Bösendorfer 290 Imperial, sostituito da altro pianoforte della stessa
fabbrica, ma molto più piccolo. Questo piano viene di solito impiegato dal coro del teatro,
nonostante un pedale rotto e un accordatura non esemplare. Jarrett però non si scompone e si reca a
cena al ristorante dicendo all'organizzatrice dell'evento che non suonerà senza la sostituzione del
pianoforte. Ma la donna riesce solamente a far accordare bene lo strumento, ma il pianista non ne è
certo felice soddisfatto e solo grazie alle insistenze dei responsabili, a malincuore accetta di
suonare.
Ne fuoriesce una registrazione suddivisa in tre parti, dalla rispettiva durata di 26, 33 e 7 minuti;
in ognuno di essere emerge la capacità di Jarrett di eseguire un gran numero di improvvisazioni su
una vamp (equivalente jazz dell’ostinato) di uno o due accordi per periodi prolungati di tempo; in
effetti nella prima parte, Jarrett esegue ben dodici minuti di improvvisazione utilizzando
praticamente due soli accordi, il la minore settima e il sol maggiore. Alcune volte lo stile è calmo e
rilassato, altre volte malinconico e affine al blues, altre volte ancora prossimo al gospel e al
romanticismo. Per gli ultimi sei minuti della parte I inoltre rimane su un tema sull’accordo di la
maggiore.
Fin dall’uscita dell’;album, diventano pressanti le richieste sul pianista, al quale si chiede di
pubblicare una trascrizione di tutta la musica, Jarrett si rifiuta categoricamente di farlo, sostenendo
che il concerto è completamente improvvisato e secondo lui ‘doveva andarsene così come era
venuto’; e che molte parti del performance restano impossibili da riportare sul pentagramma, in
quanto completamente fuori dal tempo metronomico. Keith tuttavia cambia idea in seguito,
ponendo la condizione del controllo assoluto su ogni fase del processo trascritivo, che avviene nel

1991 per l’editore Schotte successivamente viene altresì pubblicata una trascrizione per
chitarra classica grazie a Manuel Barrueco.
Ascoltato oggi, infine, The Köln Concert, primo di una lunga serie delle cosiddette piano solo
improvisations, resta di una modernità sorprendente, facendo , fin da allora, da modello per molte
nuove sonorità dall’ambient alla new age

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