di Chiara Parente
E’ una Venezia più intima, quasi segreta all’eterogenea folla accalcata in piazza San Marco, quella riscoperta percorrendo le calli, le salizade e i rami secondari che conducono al Gran Priorato di Lombardia e Venezia del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Penetrando nella zona orientale del sestiere Castello, passo dopo passo i turisti si diradano, l’odore salmastro dell’acqua prende il sopravvento e la parlata locale si fa sempre più accentuata. Ad annunciare quanto si è prossimi alla meta è l’identità melitense rivelata nei toponimi Corte S. Giovanni di Malta e Ponte de la Comenda.
L’origine del complesso monumentale, ritenuto la sede più antica dell’Ordine giovannita in Italia e dalla quale si governa la circoscrizione territoriale più numerosa, circa milleduecento membri divisi in dieci Delegazioni, risale a una donazione fatta nel 1187.
Ripercorriamone le tappe fondamentali della storia e dell’architettura.
Il 1 ottobre 1187 papa Urbano III perde la Città Santa, riconquistata dal leggendario condottiero curdo Salah al-Din, Saladino.
Al fine di occupare ancora Gerusalemme il pontefice decide di istituire la Santa Alleanza, a cui aderiscono, oltre ai maggiori regni europei, anche gli Ospedalieri di San Giovanni Battista che dal 1530, con la cessione da parte dell’imperatore Carlo V delle isole di Malta, Gozo e Cumino, si chiameranno Cavalieri di Malta.
Per il soccorso prestato, grazie all’intercessione papale, il 9 novembre 1187 i Giovanniti, stanziati a Venezia almeno dal 1144, ottengono dal\vescovo di Ravenna un appezzamento di due ettari, denominato Fossaputrida, ove innalzare una domus ospitalis, destinata ad accogliere i cavalieri che sarebbero giunti dal Nord-Est dell’Europa.
Il primo nucleo ad essere eretto fu quello a ovest, perché il canale della Pietà, che costeggia il Gran Priorato, con un pescaggio di quattro metri era il corso d’acqua navigabile più vicino all’Arsenale e, di conseguenza, il più idoneo al transito e alla sosta delle imbarcazioni cariche di materiali, destinati alla costruzione.
Su questo terreno furono innalzati lo “spedale”, il chiostro, la chiesa e tutte le palazzine che prospettano sul lato destro della Corte di San Giovani di Malta, sulla Calle dei Furlani e sul Campo delle Gatte, adiacenti all’orto. Quest’ultimo, concepito nel ‘200 come hortus conclusus del convento e trasformato nel ‘600 in spazio aperto all’italiana, pieno di messaggi allegorici storico melitensi o religiosi, occupa tremila e cinquecento metri quadrati ed è ritenuto la più estesa area
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verde privata nel centro storico di Venezia.
La fisionomia dei fabbricati nei tempi più antichi ci è perlopiù ignota.
I peducci in pietra alla base del distrutto campanile, il chiostro che appare sostanzialmente quello originale, qualche traccia di affreschi riapparsa nel 1957 e ampliata nel 2009 nel corso dei restauri sul lato esterno della chiesa, sono le remote vestigia di quei lontani secoli.
L’attuale definizione della superba architettura si delinea durante il notevole rimaneggiamento di fine ‘400, commissionato dal Priore Fra’ Sebastiano Michiel.
Da allora, eccetto piccolissimi interventi di modifica, la struttura delle fabbriche è rimasta invariata.
La xilografia con la pianta di Venezia, disegnata da Jacopo de’ Barbari nell’anno 1500, riproduce la chiesa e il convento di San Giovanni del Tempio, detto poi di Malta o, dai veneziani, dei Furlani (per la folta presenza in zona della comunità friulana), nell’aspetto planimetrico e volumetrico mantenuto tuttora.
La visita al Gran Priorato, restaurato nel biennio 2013-2014 inizia dal chiostro, affacciato su una corte vasta e luminosa. Nell’uso del colore bianco, consueto nell’architettura tradizionale mediterranea, ma insolito nello stile costruttivo veneziano, sembrerebbe richiamare stilemi d’ispirazione spagnola. Tale supposizione troverebbe riscontro con la presenza di un cavaliere proveniente dalla Spagna tra i fondatori del monastero.
Il cortile, circondato su tre lati da portici, è decorato con una vera da pozzo che, regalata dalla famiglia Arimondo titolare della Commenda di Treviso nel 1565, a sua volta orna un sottostante pozzo duecentesco alla veneziana, costituito da una cisterna per il filtraggio e la raccolta dell’acqua piovana, posizionata a quattro metri di profondità e contenente circa seicento litri.
Un breve corridoio collega il lungo porticato, dedicato alla quiete e alla meditazione, con la chiesa.
Inizialmente essa era suddivisa in tre navate, terminanti con tre absidi, e possedeva sette altari.
Sul finire del XV secolo le due navate laterali scomparvero, riadattate ad altre funzioni, e il tempietto si configurò ad aula unica monoabsidata. Sostituì la precedente copertura un tetto ligneo a due falde, articolato in quattordici capriate decorate a tempera con tema floreale e ricavato da uno “squero”, un dismesso cantiere navale dell’Arsenale, scoperchiato per assemblare galee dall’alberatura più elevata, allora in voga.
Della chiesa, matrice delle altre chiese del Priorato, era titolare il Gran Priore di Venezia. Non soggetta alla giurisdizione del Patriarca, vi officiavano i Cappellani d’Obbedienza, e dopo la caduta di Malta, i Cappellani Conventuali Professi.
Confiscata da Napoleone il 30 aprile 1806, fu restituita all’Ordine di Malta nel 1839 dall’arciduca Federico d’Austria, governatore di Venezia, e riconsacrata il 24 giugno 1843.
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Un tempo la chiesa ospitava anche alcune “Scuole”, sodalizi con fini di culto e beneficenza, posti sotto la protezione di un santo patrono e dotati di una mariègola (= madre-regola).
Tra le associazioni annesse la più antica fu quella di San Giovanni Battista, trasferitasi nel 1425 dalla vicina chiesa di San Giovanni Laterano. Nel 1445 essa ebbe anche una parte dell’ospizio di Santa Caterina, proprietà dell’Ordine, da sempre seguace del duplice carisma giovannita riassunto nel motto: “tuitio fidei et obsequium pauperum”, testimonianza di fede e servizio ai più deboli. Probabilmente i confratelli accedevano alla struttura attraverso la porta, sormontata dal bassorilievo col Battesimo di Gesù, che ancor oggi si ammira in Corte San Giovanni di Malta.
Un’altra congregazione a ottenere l’accesso fu la Scuola dalmata dei SS. Giorgio e Trifone, detta Scuola di S. Giorgio degli Schiavoni, poiché i Dalmati era chiamati Schiavoni. Nel ‘400 i coloni provenienti dalla Dalmazia (= Schiavonia) erano numerosi. Si trattava soprattutto di marinai, che si stabilivano a Venezia o vi sostavano di frequente. Così il 19 maggio 1451 il doge Francesco Foscari con un decreto del Consiglio dei Dieci ne approvò la mariègola.
La comunità ricevette in enfiteusi perpetua dal Priore Fra’ Lorenzo Marcello un altare e l’ospizio di Santa Caterina, per erigervi la propria sede dietro corresponsione di un tributo annuo di quattro ducati d’oro, di cera e di pani, da consegnare nel giorno della festa del patrono San Giorgio.
La scultura raffigurante la Madonna in trono con ai lati San Giovanni Battista, Santa Caterina d’Alessandria (patrona della Lingua d’Italia) e un devoto, forse un Cavaliere Giovannita, in mostra nel salone dell’archivio priorale, probabilmente in passato ornava l’ospitale di Santa Caterina. Ma c’è molto di più.
Tra il 1502 e il 1507 il pittore Vittore Carpaccio dipinse uno stupendo ciclo di teleri, che tuttora decorano la Scuola Dalmata. Una delle tele illustra l’episodio di San Girolamo mentre conduce nel convento un leone ammansito, provocando la rapida fuga dei monaci. Secondo la tradizione sullo sfondo appaiono gli edifici granpriorali, come si presentavano prima dei restauri di fine Quattrocento. Sulla sinistra si vede la chiesa preceduta da un nartece, uno spazio porticato a ridosso della facciata, ove coloro che non erano battezzati assistevano alla celebrazione della messa.
Il quadro ritrae pure un plurisecolare particolare edilizio veneziano: le pietre svuse, ossia bucate. Nelle antiche costruzioni, in prossimità delle finestre, erano collocate delle assi in legno, inserite su davanzali bucati di marmo con la biancheria stesa ad asciugare.