Pensieri, parole, opere e omissioni: guerra e povertà

“La povertà – diceva De André – non bussa mai alla porta, ma entra sicura e penetra nel tessuto sociale, quasi come un fumo che si insinua ovunque”

di Marco Delpino

Quella della “povertà assoluta” è una piaga sociale che si è moltiplicata in questi ultimi anni, con oltre 5 milioni e mezzo di persone che vivono in condizioni di indigenza (di cui 1.400.000 minori), che, a confronto con i dati del 2007 (1.700.000, allora, i poveri assoluti), dimostrano come il fenomeno sia più che triplicato.

In aggiunta a quella che è stato identificata “povertà ereditaria”, ovvero quella “genetica” della povertà che si perpetua nel tempo (cioè si tramanda di padre in figlio), oggi si sono aggiunti altri problemi che relegano intere famiglie nella fascia della miseria: i costi della casa, delle bollette, del vitto, con lavori di bassa qualifica o stagionali o comunque temporanei e sottopagati. Tutti effetti che gravano sulla persona e sulla salute mentale, oltre che sulle relazioni umane.

L’anello debole della catena (e quindi della società) sta nel fatto che la povertà diventa “fenomeno” a causa del numero sempre più crescente di individui, ma nasce soprattutto dalla solitudine di questa nostra società e, peggio, dall’indifferenza. I poveri, infatti, fanno notizia soltanto in pochi casi: quando vengono alla luce dati Istat che illustrano tragiche realtà come l’attuale, quando ci sono avvenimenti delittuosi o quando l’opinione pubblica viene a conoscenza di eventi “compassionevoli”. La povertà, diceva De André, non bussa mai alla porta, ma entra sicura e penetra nel tessuto sociale, quasi come un fumo che si insinua ovunque.

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Poi, ad aggravare il fenomeno, ci sono le contraddizioni del nostro tempo: in Italia esistono eccedenze di abitazioni sfitte, ma ci sono masse di persone senza casa. E poi, quando mancano i soldi, o quando si devono acquistare nuove armi, si tagliano le spese su altri fondi, come quelli legati al sociale, alla sanità, all’educazione o alla cultura…

Di fronte al tema della povertà e del disagio economico si registra troppo spesso una “indifferenza” da parte della politica (che a volte preferisce affrontare argomenti sia pur importanti, ma minoritari, come quelli dei “diritti civili” piuttosto che quelli dei “diritti sociali”) e da parte di chi (sindaci, amministratori regionali o nazionali) potrebbe intervenire per affrontare e sanare (almeno in parte) certe situazioni, ma preferisce non vedere. E il motivo è sin troppo evidente: una massa di persone povere, che devono affrontare “emergenze” quotidiane, hanno meno tempo da dedicare all’informazione, all’istruzione, alla salute e alla cultura. Quindi: la povertà genera ignoranza, l’ignoranza sfiducia, e la sfiducia si trasforma in rinuncia alla “partecipazione”. E la mancanza di “partecipazione” diventa così mancanza di “libertà”. Ecco perché bisognerebbe anche ripristinare l’uso di alcuni termini che, di questi tempi, sono stati sostituiti da altri. Al posto di: guerra, odio, terrore, violenza, razzismo, indifferenza, arroganza, occorrerebbe ridare un senso a vocaboli che sembrano dimenticati o arcaici, superati da chi non vuole guardare né al passato (come esperienza di vita) né al futuro (quale sviluppo compatibile per la sopravvivenza delle nuove generazioni), ma preferisce egoisticamente guardare all’oggi, per coltivare l’orticello di casa a uso e consumo del proprio individualismo.

Compito del giornalista è quello di ridare valore a parole come: libertà, pace, amore, tolleranza, dialogo, confronto.

Diversamente, di fronte a termini inappropriati, frutto di “cattivi pensieri”, non seguiranno mai le “opere” concrete. E prenderanno campo le “omissioni”, ovvero quell’indifferenza che porta l’opinione pubblica a “non guardare”, a… girarsi dall’altra parte.

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L’indifferenza (come ha sempre spiegato Liliana Segre) consente ai totalitarismi di soffocare la Libertà, instaurando metodi che poi diventano “regole” o leggi, capaci a vedere nelle “diversità” i nemici da abbattere e a sancire l’equivalenza tra governo e Stato.

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