Un’Europa da riformare, perché “governare”, in futuro, significherà “vivere le responsabilità” del nostro tempo
di Marco Delpino
“Europa, Europa, Europa, tu sei la nostra patria…” ci insegnavano a cantare, agl’inizi degli anni Sessanta, le nostre maestre delle scuole elementari.
Dopo il boom economico degli anni Cinquanta e l’ottimismo rampante degli anni Ottanta, oggi scopriamo di vivere in un’Europa che non c’è e in Paese a rischio di emergenza. Facciamo improvvisamente i conti con l’assenza di una politica europea, che balbetta impreparata di fronte alle grandi Potenze, con il rischio di rivivere (a livello nazionale) quella situazione che hanno conosciuto i nostri nonni e i nostri padri e che la generazione del dopoguerra ha lungamente esorcizzato, aiutati, nella costruzione di questa illusione, dalle televisioni che, con i loro programmi di intrattenimento e gli onnipresenti spot commerciali, ci hanno rimandato di continuo l’immagine di un’Europa potente e di un Paese dai consumi sofisticati e opulenti. Un’Europa che alcune “piazze” tentano di invocare (e di evocare) e un’Italia che non si rassegna a essere un Paese di coccio di fronte alle statistiche Istat sempre più impietose: oltre 6 milioni sono le persone che vivono sotto la soglia di povertà e altri milioni di nostri connazionali che potrebbero diventare poveri nei prossimi mesi se non si risolveranno gli scompensi sempre più evidenti e se non si porrà un freno agli aumenti delle fonti energetiche ed alimentari. In pratica, almeno due famiglie su quattro faticano ad arrivare alla fine del mese e sono in grave difficoltà ad affrontare una spesa imprevista, un minore su quattro è a rischio povertà. E tutto questo mentre il 10% degli italiani possiede il 50% della ricchezza nazionale, e l’altra metà della ricchezza va divisa tra il 90% degli abitanti dello Stivale. Un divario, tra i cosiddetti poveri e coloro che vivono in condizioni di ricchezza, che diventa sempre più evidente. E tale spaccatura, pericolosa per la società in generale e per ogni singolo individuo, si sta allargando e inasprendo. E in questo “scenario”, non certamente idilliaco, pensiamo di andare a spendere miliardi di euro in cannoni e carri armati per i prossimi dieci anni per un “armamento” che oggi non c’è e che potrebbe essere di là a divenire? I redditi delle famiglie sono calati e l’impatto della crisi sulla situazione sociale si fa sempre più pressante in assenza di una compensazione sulla spesa sociale. I tagli dei salari, al pari dei mancati investimenti, riducono anche la domanda interna di prodotti. Aggiungiamo che la situazione economica e la povertà possono diventare gli ingredienti classici della depressione, e uno degli allarmanti segnali è rappresentato dall’aumento in Italia dei farmaci antidepressivi.
Fortunatamente, alcune realtà cattoliche (a cominciare dal Papa) hanno lanciato l’allarme da tempo: più pace uguale a più benessere. E se proprio di “guerra” dobbiamo parlare, facciamola usando la tecnologia, investendo nei sistemi di protezione (anche cibernetici) per far sì che la nostra società possa vivere in un quadro di riferimento nuovo, in cui i diritti umani siano pienamente riconosciuti e tutelati non per una mera necessità giuridica, ma perché possa essere riconosciuta la dignità della persona umana, fonte e fine di tutti i diritti e di tutti i doveri. Ecco allora che, per rendere questa nostra società più giusta, occorre rimediare alle condizioni di disuguaglianza che ci derivano dal passato ed evitare nuove ingiustizie per le generazioni future. È un principio chiamato di “responsabilità”, che conferisce senso e significato alle azioni e ai comportamenti sui nostri concittadini.
“Negli ultimi quarant’anni i salari dei lavoratori italiani sono diminuiti, ma non gli utili degli imprenditori – dice lo scrittore e saggista Giovanni Giovannetti in un suo recente saggio dedicato ai “grandi segreti d’Italia” – Un fiume di denaro scelleratamente sottratto agli investimenti produttivi e dirottato sull’economia finanziaria, senza troppo indugiare sulla funzione sociale del lavoro e dell’impresa, nonché sulle aspettative di chi, per vivere, ha bisogno di lavorare”. E ancora: “Meno potere d’acquisto significa meno consumi durevoli, oltre a non poche difficoltà nell’affrontare l’aumento dei costi di alcuni servizi e del cibo, con pensioni sempre più depotenziate, che spesso non consentono di condurre una vita dignitosa”.
Cambiare, forse, è possibile. Anche per evitare il ripetersi di eventi che la Storia dovrebbe insegnarci… A cominciare dalle tensioni sociali e dalla delinquenza, che sono figlie della povertà. Ecco perché occorrono meno chiacchiere e più concretezza, soprattutto a livello europeo e a livello governativo. Perché “governare”, in futuro, equivarrà a “vivere le responsabilità” del nostro tempo.
12 commenti
Credo che la parola “guerra” vada assolutamente cancellata, anche se usata con le migliori intenzioni. Il linguaggi – specialmente nella fase dell’apprendimento – evoca inevitabilmente violenza, morte, distruzione, sopraffazione. Machiavelli (il polititico) usa l’immagine della volpe (l’astuzia, l’inganno) e del leone (la forza aggressiva), Erasmo (l’educatore) usa l’immagine del riccio (la forza difensiva).
Il nostro eurocentrismo è una malattia inguaribile. Siamo razzisti e colonialisti per mandato divino o per diritto evolutivo: Sian belligere genti, o sian tranquille;
Abbiano o no metalli indaco e pepe;
Di selve sieno o abitator di ville;
Stuzzicar tutti densi, ovunque repe
Quest’insetto tirannico Europeo,
Per impinguar le sue famelich’epe. (Alfieri, Satira XII)
La nostra malattia (ereditaria) l’abbiamo trasmessa al dilà dell’Atlantico e chi non ci piaceva l’abbiamo sterminato.
Vittorio Alfieri è più celebrato che letto, e sta ancora scontando la damnatio memoriae dei Savoia a cui aveva rifiutato di servire. Inoltre le sue opere politiche e morali (cioé tutte) furono condannate all’Idice dei libri proibiti da Pio XII e Leone XII. TIRANNIDE indistintamente appellar si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle, od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo, usurpatore o legittimo; buono o tristo; uno o molti, a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
Vittorio Alfieri, Della Tirannide libri due, libro I, cap.2
TIRANNIDE indistintamente appellar si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle, od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo, usurpatore o legittimo; buono o tristo; uno o molti, a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
Vittorio Alfieri, Della Tirannide libri due, libro I, cap.2
Articolo “Corsi e ricorsi storici La spartizione del mondo” di Marco Delpino. L’autore, coerentemente col quadro fosco dell’Italia da lui descritto, dove tutto, ma proprio tutto va male, sottace il dato molto positivo dell’aumento dell’occupazione negli ultimi due anni, che ha portato il tassi di disoccupazione al record storico del 6%. Non si dica che è tutto nuovo lavoro precario e povero. I dati ISTAT e INPS dicono il contrario. Poi naturalmente si può negare l’evidenza. Ma in questo.contesto la rivolta sociale evocata dalla Dini è di là da venire.
La storia non si scrive sui quotidiani ma sui documenti d’archivio, per lunghi periodi. Una rondine non fa primavera “Negli ultimi quarant’anni i salari dei lavoratori italiani sono diminuiti, ma non gli utili degli imprenditori”. La rivolta sociale consiste nel prendere atto dello squilibrio, non arrestando la protesta.
Al di là dei dati Istat (cui ci siamo attenuti scrupolosamente), la realtà è sotto gli occhi di tutti, fin troppo evidente. La povertà è in aumento e gli stipendi e i salari non stanno al passo col costo della vita. Se poi la disoccupazione diminuisce, non sempre questo aspetto significa benesse: occorrerebbe analizzare le condizioni di sfruttamento e di paghe sotto i livelli di dignità per capire (e, purtroppo, lo capiremo nei prossimi mesi) che la situazione non è certamente rosea.
Le condizioni di sfruttamento riguardano il lavoro nero, non quello contrattualizzato registrato dall’ISTAT e dall’INPS. La necessità di un salario minimo sufficiente esiste da anni, non è un problema emerso negli ultimi due. A meno che si preferisca un non aumento dell’occupazione finché questo problema non sarà risolto. Ma i nuovi occupati, certamente non tutti in “lavoro povero”, immagino non sarebbero d’accordo. Dopodiché è legittimo negare l’evidenza se non conferma i propri pre-giudizio.
Di solito le critiche e le considerazioni a un articolo si fanno sulla base di quanto è stato scritto (nero su bianco). Farle su ciò che non è stato detto appartiene a un processo interpretativo degno di un novello “maccartismo” da coda di paglia, attualmente in atto in questa “democrazia vigilata” che adombra critiche anche laddove queste critiche non ci sono.
Il mio procedimento interpretativo è stato logicamente sollecitato dalle affermazion SCRITTE, molto singolari: “Al di là dei dati ISTAT…” (ma sono reali o manipolati da qualche “vigilante”?…) e “Se poi la disoccupazione diminuisce, non sempre questo aspetto significa benessere” (forse allora malessere?…). Evocare il “maccartismo” (sic!) e la “democrazia vigilata” (da chi?) evidenzia una concezione altrettanto singolare ” del “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero” garantito dall’art. 21, 1° comma, della Costituzione e che in Italia risulta giustamente ampiamente praticato.
“Le condizioni di sfruttamento riguardano il lavoro nero, non quello contrattualizzato registrato dall’ISTAT e dall’INPS”. Il lavoro nero,appunto, essendo nero non rientra nelle statiche di Trilussa, ma è la triste realtà che tiene in piedi questo povero paese di bengodi.
Non sono le statistiche di Trilussa, ma quelle dell’autorevole ISTAT. Che certifica, insieme all’INPS, una disoccupazione scesa negli ultimi due anni al 6%. È un dato che dà fastidio? A chi? Ai nuovi occupati, sicuramente no! Il lavoro nero, certamente deplorevole, purtroppo esiste da sempre e non certo da due anni. Nei quali sono stati varati importanti incentivi di decontribuzione per nuove assunzioni nel Meridione di giovani e donne. E i risultati, appunto, si vedono!
La Statistica
Sai ched’è la statistica? È na’ cosa
che serve pe fà un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che spósa.
Ma pè me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pè via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.
Er compagno scompagno:
Io che conosco bene l’idee tue
so’ certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni.
No, no – rispose er Gatto senza core –
io non divido gnente co’ nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so’ conservatore.
Ieri sei persone che supportano la campagna Il Giusto Prezzo sono intervenute nella sala del ristorante di Carlo Cracco in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, per ricordare che oltre la metà delle famiglie italiane faticano ad arrivare a fine mese.
Sono state denunciate per violenza privata.
Le disuguaglianze economiche – oggi sempre più laceranti – non sono una fatalità, ma il frutto di politiche che da anni preservano i privilegi di pochi, con tassazioni irrisorie per i super-ricchi ed un mercato del lavoro deregolamentato e inadeguato. Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, tutti gli altri sono condannati ad una vita di affanni e sacrifici.
Come tanti altri cittadini, noi non ne possiamo più di questa situazione.
Non ne possono più gli studenti che a Milano arrivano a spendere oltre mille euro solo per affitti e per la spesa primaria.
Non ne possono più gli agricoltori, i quali vedono i propri prodotti – che vanno a rifornire le catene di supermercati così come i ristoranti chic di Milano – essere pagati solo pochi centesimi al chilo.
Oggi le azioni di solidarietà sono importanti tanto quanto le azioni politiche per contrastare la povertà e le disuguaglianze. Pretendiamo che anche i locali di lusso come il ristorante di Cracco facciano la loro parte: per questo durante la nostra azione ieri abbiamo invitato il ristoratore ad offrire settimanalmente un pasto gratis, qui nel centro di Milano. Perché a due passi da Cracco ci sono migliaia di cittadini che faticano ogni giorno per permettere una vita dignitosa a sé e alla propria famiglia. Questi ristoranti sono avulsi dal disastro economico e sociale che è il nostro presente. Nei momenti di difficoltà, chi ha di più dovrebbe aiutare la collettività