82^ Mostra del Cinema di Venezia (27/8 – 6/9)
di Maria Antonella Pratali
Il regista François Ozon porta sullo schermo uno dei testi più influenti del Novecento: L’ètranger di Albert Camus (1942).
Dopo la trasposizione cinematografica di Luchino Visconti del 1967, Ozon sceglie un approccio diverso, anche se altrettanto fedele. Il film si apre con immagini di repertorio che mostrano l’Algeri degli anni Trenta, una città bianca e ordinata, come la volevano i francesi, mentre le riprese sono state effettuate a Tangeri, in Marocco.
Alla notizia della morte della madre e al suo funerale, Meursault (Benjamin Voisin), giovane impiegato francese, non mostra alcuna emozione, comportamento che lo rende enigmatico e freddo agli occhi di chi lo osserva. Di lì a poco dopo intreccia una relazione con Marie (Rebecca Marder) e stringe amicizia con il vicino di casa Raymond (Pierre Lottin), uomo violento che sfrutta e maltratta una donna araba. Meursault, con la sua apatia, si lascia coinvolgere nelle diatribe col fratello di lei e i suoi amici. In spiaggia, dopo una colluttazione tra loro e Raymond, Meursault resta solo sotto un sole accecante, e ritrova uno degli arabi, che erano fuggiti. Colto da una sorta di vertigine e smarrimento, estrae la pistola che Raymond gli aveva dato in custodia e gli spara, uccidendolo.
Il processo che segue si concentrerà più sulla sua personalità indifferente e distaccata, che sul delitto in sé. Nonostante tutti i privilegi di cui potrebbe facilmente disporre come francese in Algeria, Meursault decide di non fingere, e di dire apertamente ciò che sente (o non sente); viene quindi condannato a morte non tanto per l’omicidio, quanto per la sua incapacità di adeguarsi alle convenzioni sociali. Alla fine, in carcere, provocato dal prete che vorrebbe offrirgli conforto, Meursault dichiara ciò che pensa della condizione umana, l’assurdità dell’esistenza, l’assenza di senso. Senza cercare consolazioni religiose, accetta l’indifferenza sua e del mondo, e forse proprio questa indifferenza è una forma di libertà.
Sullo sfondo della vicenda principale Ozon fa emergere ciò che in Camus e in Visconti era rimasto più sfumato: il colonialismo francese in Algeria e il regime di segregazione razziale messo in atto dalla Francia. «Bisogna raccontare cosa avesse significato per la Francia il colonialismo, pagina rimossa del nostro Paese» dichiara il regista, il cui nonno fu giudice a Bône (oggi Annaba). Ozon dà maggiore risalto anche ai personaggi femminili: la sensualità e la gioia di vivere di Marie fanno da contrappunto luminoso alla distanza emotiva di Meursault.
Djemila (Hajar Bouzaouit), sorella dell’arabo ucciso, è un personaggio che nel libro non compare.
In definitiva, il film non è solo un nuovo adattamento di un grande classico, ma una riscrittura dello sguardo e della prospettiva; il regista apre il testo a nuove letture, senza tradirne la forza originaria.