CinemItalia. Approfondimento – “ELISA”,  che ne faccio della parte oscura di me?

di Maria Antonella Pratali

Colpa, memoria e rimozione, giustizia e redenzione. Queste sono le tematiche principali affrontate in Elisa, che il regista Leonardo di Costanzo dimostra di saper sviluppare con sapienza e che l’attrice Barbara Ronchi interpreta in modo magistrale. (https://italiasara.it/2025/09/14/cinemitalia-recensioni-elisa-unindagine-psicologica-e-morale-per-guardare-in-faccia-il-male/).
La letteratura e il cinema si sono occupati spesso di questi temi, ma ogni volta in modo diverso, perché diverso e unico è ognuno di noi. Ci accomuna il fatto che tutti abbiamo un’ombra e una carica di aggressività, palese o nascosta che sia, di cui occorre essere coscienti per poterla governare. In psicologia, la rimozione o repressione è un meccanismo di difesa studiato e descritto da Sigmund Freud, con cui la mente allontana ricordi dolorosi o inaccettabili. Nel caso di Elisa, la memoria del delitto è presente (“io lo volevo fare”, dice al criminologo in uno dei loro dialoghi), ma è una memoria fragile e frammentata, difficile da affrontare. Il percorso con il criminologo (interpretato egregiamente da Roschdy Zem) diventa quindi un richiamare a sé quegli atti attraverso la narrazione, similmente al processo terapeutico di elaborazione del trauma, dove ricordare è necessario per comprendere e accettare.
Se pensiamo a cosa possa significare lottare contro il senso di colpa dopo aver ucciso, a come la memoria del crimine debba tornare ossessivamente, il primo personaggio che ci viene in mente è Raskolnikov, in Delitto e castigo, di Dostoevskij. La redenzione avviene solo attraverso la confessione e la resa alla giustizia, che gli permettono di iniziare una nuova vita. Elisa, come Raskolnikov, vive il crimine come peso interiore costante. La sua distanza emotiva è una strategia di sopravvivenza, e in questo ci ricorda Lo straniero di Camus (https://italiasara.it/2025/09/03/cinema-venezia82-film-in-concorso-letranger-lo-straniero-di-francois-ozon/), in cui il protagonista uccide per alienazione e distacco emotivo.
Elisa vive un tormento che affiora solo attraverso il dialogo e la narrazione, necessari alla presa di coscienza di sé. “Il silenzio non è la cura”, afferma il criminologo nel film.  Il carcere è sia spazio fisico sia metafora della gabbia interiore di Elisa, di cui può liberarsi solo attraverso l’accettazione della propria colpa.  Non è un “happy end” nel senso tradizionale, ma un’apertura verso un percorso nuovo.
In conclusione, il film si colloca in un solco universale che attraversa letteratura e cinema: la colpa che chiede di essere riconosciuta e confessata, la memoria che resiste all’oblio, la possibilità di redenzione attraverso la parola e il dialogo.
Qui il delitto non è solo un fatto di cronaca, ma l’occasione per interrogare l’essere umano nella sua oscurità e fragilità.

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