Tra ombre e rilancio industriale, l’economia cinese è un quieto polo di relativa stabilità economica
di Antonio Bovetti
La Cina appare oggi come un polo di relativa stabilità economica mentre il contesto geopolitico internazionale resta instabile, in gran parte per le decisioni imprevedibili del presidente statunitense Donald Trump, nei primi mesi del suo mandato. Forte di una visione strategica di lungo periodo, Pechino continua il suo tentativo di trasformazione industriale e sociale, pur affrontando sfide interne tutt’altro che trascurabili. Nel primo trimestre del 2025 il PIL cinese è cresciuto dell’1,2% su base trimestrale (dato destagionalizzato) *, rallentando rispetto all’1,6% del trimestre precedente e mancando le attese del mercato. È il risultato più debole dal secondo trimestre 2024, ma segna comunque l’undicesimo trimestre consecutivo di crescita. A scuotere gli equilibri è arrivata la nuova impennata dei dazi imposta da Washington: dal febbraio scorso, l’amministrazione Trump ha alzato le tariffe sui beni cinesi molto superiore al cento per cento, innescando una controffensiva commerciale da parte di Pechino. Il governo cinese ha tuttavia ribadito di avere “ampi strumenti” per sostenere la domanda interna. Il premier cinese Li Qiang promette nuovi stimoli, e a marzo è stato annunciato un aumento della spesa pubblica e un deficit di bilancio più elevato. Nel breve termine, la priorità dichiarata è rilanciare i consumi interni, rallentati da un contesto di incertezza economica e da un mercato del lavoro fragile. Pechino ha convocato a fine marzo 2025 i rappresentanti delle grandi multinazionali, ribadendo l’apertura del paese alla globalizzazione, in forte contrasto con le politiche protezionistiche statunitensi. Sul piano diplomatico, si registrano segnali di distensione con partner asiatici come India, Corea del Sud e Giappone. Ma le tensioni con l’Occidente, in particolare in ambito tecnologico e commerciale, restano elevate. Le ombre, tuttavia, non mancano. Il settore immobiliare, un tempo motore dello sviluppo, è in crisi strutturale. A questo si aggiunge l’aumento della disoccupazione, in particolare giovanile: ogni anno si laureano circa 12 milioni di giovani, ma molti faticano a trovare un impiego. Il passaggio da un’economia manifatturiera tradizionale a un sistema high-tech ha comportato la perdita di 3,4 milioni di posti di lavoro nei settori maturi tra il 2021 e il 2024 (dati Langley & Ko, 2025) **. La Cina non ha oggi un problema di manodopera, ma semmai di mancanza di posti disponibili. Il Fondo Monetario Internazionale e altri osservatori internazionali sottolineano la necessità di riforme strutturali: tra queste, un rafforzamento della rete di protezione sociale e una strategia più efficace per promuovere innovazione e occupazione. In bilico tra continuità e trasformazione, la Cina resta un attore decisivo nella nuova geografia economica globale, ma il cammino è tutt’altro che privo di ostacoli.
Glossario
* Dato destagionalizzato: vuol dire che è il valore del PIL è stato corretto tenendo conto delle variazioni stagionali. E’ normale che i consumi aumentino a dicembre per le festività. (Più soldi da spendere con la gratifica natalizia). Il dato destagionalizzato toglie questo effetto, così possiamo vedere l’andamento reale dell’economia, non solo quello influenzato dal calendario dei vari continenti.
** Langley & Ko, 2025 società che fornisce consulenza in materia di diritto al lavoro ai clienti in tutto il Regno Unito e a livello internazionale. Sede nella City di Londra.