Molte spine, tanti dolori alle massaie e cuochi, ma sempre nel tegame finisce
di Antonio Bovetti
La storia del carciofo in Liguria è ricca di tradizione e connessioni storiche. Questi ortaggi, in particolare quelli coltivati nella piana di Albenga, sono considerati una prelibatezza e spesso serviti in occasioni speciali come nelle feste pasquali. Quest’ortaggio ha una forma singolare, sembra un fiore socchiuso con le foglie simili a petali, che a seconda della varietà, hanno o no le spine. Si semina in autunno e, dopo una lunga e laboriosa coltivazione, lo si raccoglie ad aprile o maggio; se, invece, rimane nel terreno, il sole e il caldo dell’estate lo fanno fiorire in agosto. Sotto il sole di luglio le foglie si aprono e dal cuore sboccia un fiore color violetto tenero con sfumature lilla. Le “ardiciocche”, così si chiamano in dialetto ligure i carciofi, si coltivano in molte zone della Liguria, in particolare, quelli della piana di Albenga sono i più conosciuti e distribuiti in tutta Italia. A Perinaldo, piccolo borgo nella val Crosia, ne esiste una qualità di color viola ma senza spine, chiamati “violet”, importati da Napoleone Bonaparte nel 1796. Nel resto della regione si coltivano soprattutto carciofi con le spine sull’estremità delle foglie e lungo lo stelo; a parere di molti intenditori, quelli spinosi, sono più gustosi e saporiti anche se, nel pulirli e spuntarli, cuochi e massaie rimediano dolorose punture; va detto però che sotto la prima decina di foglie, quasi sempre dure, si nasconde un “cuore” tenero e gustoso, gioia dei buon gustai, amanti del pinzimonio. Questo ortaggio lo si cucina in svariati modi: in padella alla ligure, conosciuta come “fracassâ d’ ardiciocche”che può essere un contorno appropriato per carni bianche come il coniglio. Un altro piatto semplice è “L’imbroggiü” così chiamato in dialetto genovese, l’imbrogliata; è facile da preparare, si tagliano i carciofi a fette, poi si mescolano con le uova sbattute, si aggiunge del formaggio grana grattugiato e si continua a mescolare per amalgamare i tre componenti; l’impasto va cotto in padella ed inumidito durante la cottura con brodo vegetale, per non farlo arrostire velocemente. Vi siete mai chiesti perché la fantasia popolare abbia chiamato “Carciofi all’inferno” questa ghiotta pietanza, sinonimia di atroci castighi? Con le foglie all’insù ritti e ordinati nella teglia, non sembrano “anime in pena” nel fuoco dell’inferno? D’altra parte dopo i dolori procurati a cuochi e massaie nello spuntarli e pulirli, anche se cuociono tra le fiamme di un forno a legna, per un’oretta a 200 gradi, pensiamo sia il giusto scotto alle sadiche malefatte. Fantasiosi cuochi consigliano l’aggiunta di carciofi tra le bietole della torta Pasqualina, che si può anche fare, sempre con varie sfoglie di pasta, con i soli carciofi. Va ricordato che questa verdura dopo la pulitura e fino al momento della cottura va immersa in acqua con succo di limone per non farla annerire, invece cotta, si conserva male, quindi, deve essere consumata in breve tempo.