di Maria Antonella Pratali
Diciottesima puntata – 15 notte/16 maggio – Si torna in Italia
Il nostro aereo partirà dall’Asmara intorno alle 3.30 del 16. Conviene mettersi in fila già dalla mezzanotte. Con mio grande stupore, c’è già una coda infinita di persone in attesa del check-in (da Asmara non si può fare online), i carrelli stracarichi di bagagli. Dopo oltre due ore accediamo finalmente ai controlli e al check-in.
Gli impiegati sono molto gentili. Un ragazzo, mentre controlla il mio passaporto, mi bisbiglia: “Come stai?”. Rispondo con una certa sorpresa, chiedo a mia volta come sta, se sia faticoso lavorare di notte. Sorride, ma non risponde.
Al controllo successivo un impiegato meno giovane e dall’aria burbera mi dice: “Arrivederci!” e poi: “see you next time!” – “I hope so!”, gli rispondo con un sorriso. Se avessi avuto bisogno di altro per sentire il dispiacere di andarmene, eccomi servita. L’accoglienza e il calore di questa gente è per me un’esperienza unica.
In sala d’attesa, dove approdiamo dopo la perquisizione, S. si addormenta su una scomodissima seduta dopo pochi istanti. Alcune persone sono stese di traverso su due o tre sedili. Io, invece, guardo il soffitto e cerco di convincermi che dormire è opzionale, visto che tanto non ci riesco. Dopo un’oretta, ci spostano in una sala attigua. Ancora attesa, poi finalmente alle 3.30 saliamo a bordo. Partiamo alle 4.00.
Per fortuna i posti sono spaziosi, riesco ad appisolarmi un poco, S. si riaddormenta in un battito di ciglia, che invidia. Il viaggio notturno va abbastanza bene, non ci sono bambini urlanti e dopo circa quattro ore siamo al Cairo, cioè in un altro mondo.
Vado a darmi una rinfrescata e mi stupisco di quanto siano pulite e organizzate le toilettes, grazie alle squadre di donne che passano senza sosta con i loro carrelli pieni di attrezzi e detersivi.
Facciamo colazione in uno dei tanti bar dell’aeroporto, in attesa della coincidenza per Malpensa. Riflettiamo su cosa potremmo rispondere alle domande che sicuramente ci porranno una volta a casa: “Com’è l’Eritrea? Vi è piaciuta? Come siete stati?” eccetera. Concordiamo sul fatto che non è possibile riassumere una simile quantità di impressioni, riflessioni, dubbi ed emozioni con un raccontino e qualche cliché. L’unico modo di raccontare un viaggio così potrebbe essere un diario, come questo, sperando di riuscire a rendere con le parole l’insieme di colori, profumi, volti, atmosfere, luci e chiaroscuri che ti ha segnato l’animo, e che ricordi con una sottile nostalgia.
Perché il viaggio non finisce mai davvero: rivive nei ricordi, nei sogni, nelle storie che raccontiamo e in quelle che ancora attendono di essere vissute.
(Continua. Qualche foto, qualche cenno di storia, anche nostra)