di Gianfranco Andorno
Una torbida vicenda legata a scandali, traffici internazionali, connessioni mafiose e intrighi finanziari quella che unisce i destini di due personaggi a dir poco inquietanti: Roberto Calvi e Michele Sindona.
I due nascono nello stesso anno: il 1920.
Durante la guerra il primo è impegnato nei disagi della ritirata di Russia, sotto lo sguardo beffardo e sornione di Napoleone. Il secondo si arrabatta a Messina sino a conseguire una laurea in legge, discutendo il cinico Machiavelli.
Finito il conflitto, Calvi entra alla Banca Commerciale a Milano, Sindona si arrampica come l’aracne mitologico nella
capitale lombarda e inizia a tessere la sua ragnatela facendo il consulente tributario.
Diventa il fiscalista di Joe Adonis, espulso dagli Usa come boss crime-syndicate, luogotenente di Lucky Luciano. L’ago della sua bussola viene calamitato da queste amicizie malavitose.
Dagli oriundi che l’America gentilmente ci rispediva come i sacchi di farina del “piano Marshall”.
Calvi passa al Banco Ambrosiano, ne diventa il direttore e poi il presidente attraverso una carriera folgorante.
L’Ambrosiano è una banca privata propaggine dello IOR, ovvero la banca vaticana. È la banca dei preti e lui diventa il
“banchiere di Dio”. Sindona va per le spicce e già nel 1961 si compra la quota di maggioranza della Banca Privata
Finanziaria. Si scoprirà che, per incrementare i depositi ai responsabili degli enti anche parastatali che si fanno clienti,
offriva un interesse in nero. Capacità o padrini nell’ombra, occulti, per queste carriere fulminee? “L’è svelt”, dicevano
di Calvi. Basta?
La malavita cercava un tranquillo garage per il riciclaggio. “Cosa Nostra” deve pulire i soldi provenienti dal traffico
della droga. Sindona è pronto a fare il netturbino zelante e Calvi lo farà dopo, forse costretto ad accettare le malsane
eredità di Sindona e Marcinkus.
Ma chi è questo corpulento prelato? L’arcivescovo Paul Kasimir Marcinkus è il presidente dello IOR, e tutte le attività
finanziarie del Vaticano devono avere il suo placet. Ha diversi soprannomi: chink, il gorilla, e “Marpa” nella
massoneria dove è iscritto dal 1967. Latore di questa notizia è l’agenzia “OP” di Mino Pecorelli, ucciso nel 1979 per
chiuderne la sua gola profonda. Famosa la frase di Marcinkus: “La Chiesa non si governa con le avemarie” che lasciava
intendere la sua spregiudicatezza. Regnerà per trent’anni sulla finanza vaticana. Papa Luciani, che aveva progettato il
suo allontanamento, muore improvvisamente nel 1978. Il nipote di Lucky Luciano scriverà che si è trattato di un…
provvidenziale avvelenamento.
Nel 1968 Calvi conosce Sindona divenendone socio, senza raggiungere una vera fratellanza. Si contendevano i favori
dello IOR. Favori concessi o imposti? Intendevano attingere ambedue ai flussi delle sorgenti benedette e questo
impediva loro di unirsi. All’incontro si erano annusati e via. Ma un legame esisteva: Sindona, Calvi e Marcinkus erano
affiliati alla loggia P2 del Gran Maestro venerabile Licio Gelli. E tutti debitamente numerati.
Nel 1972 Sindona, oltre alla sua banca, controlla la “Franklin National Bank” di Long Island. Detiene i pacchetti
azionari di molte aziende e sembra avere un potere finanziario immenso. Però subisce gli effetti del contrasto tra i
notabili della DC per una finanza bianca, che abortiscono i suoi disegni. Suo incrollabile nemico è il superbanchiere
Enrico Cuccia che si oppone al suo Grande Disegno e non si arrende nemmeno agli sgraditi omaggi di fiammeggianti
molotov.
Nel 1974 per Andreotti, suo larvato sponsor, è considerato “il salvatore della lira” e per l’ambasciatore americano
“l’uomo dell’anno”. Purtroppo per Sindona la sfiga dei latini è in agguato: la gloria mundi transeat e come transeat. A
razzo!
Nello stesso anno un crollo azionario americano contribuisce al fallimento della sua banca. Viene messa in liquidazione
coatta e nominato commissario Giorgio Ambrosoli, uomo tutto d’un pezzo. Per Sindona un ordine di cattura per
bancarotta fraudolenta. Una briciola del futuro ammanco certificato: 2 miliardi di lire alla Democrazia Cristiana per la
campagna elettorale. Una particola.
In America le cose non vanno meglio. Anche la “Franklin” fallisce a causa delle sue speculazioni estere e frodi. Nel
1977 Sindona si è rivolto anche a Calvi a battere cassa e tappare i buchi e, al rifiuto (questi ha già i suoi problemi),
scatena una campagna diffamatoria contro.
Sindona dapprima fa il latitante di lusso a New York poi, con l’aiuto di John Gambino, inscena un coacervo di irrealtà:
il suo finto sequestro, con il ferimento a una gamba, il progetto di una Sicilia separata. Reale invece l’uccisione di
Ambrosoli. Il liquidatore non si lasciava corrompere, si opponeva al salvataggio della banca e all’estraneità di Sindona
ai reati penali. Viene colpito sotto casa con quattro proiettili di una FBI 357 Magnum, famosa per la provenienza quasi
cinematografica. (Il film: “Il prezzo del coraggio”).
Finalmente nel 1980 viene arrestato e si becca una condanna di 25 anni, ma nel 1984 è estradato in Italia per il processo
Ambrosoli. Lui preferisce ritornare in America e una clausola lo permette se infermo. Soltanto tre giorni prima sulla
stampa si annunciava l’arrivo di un “caffè alla Pisciotta”, il luogotenente del bandito Giuliano avvelenato in carcere, e
infatti arriva. La miscela è mescolata a cianuro di potassio. Il sapore è aspro e pertanto si pensa a un Sindona
consenziente ma, ahimè, la quantità è eccessiva e lui, dopo qualche giorno di coma, muore portando nella tomba i suoi
segreti. Anno 1986, carcere di Voghera. (Films: “Un eroe borghese, il finanziere di Cosa Nostra”).
Il giudice Imposimato ha chiarito il passaggio dei denari: dalla mafia alle banche di Sindona, da queste allo IOR che
detrae una quota interessi e poi alle banche estere sicure e rientrano magari in Svizzera. Un gioco di scatole cinesi. E gli
infiniti rivoli delle lobby laico religiose che operano in tutto il mondo sono impossibili da controllare. Il prezzo caro
pagato dal giudice: un fratello assassinato (1983). Chi aggiunge una tessera al puzzle paga il prezzo in sangue. Suo o dei
parenti. Una lunga scia che macchia la finanza criminale.
Calvi è il successore di Sindona, ormai un re nudo. Il successo gli arride, ma nei salotti buoni non è accettato o solo con
smorfie. Gli esperti vedono in lui la prossima vittima designata e sentono il puzzo dell’agnello sgozzato. Marcinkus e
Calvi si liberano di Sindona, ma rimane la sua grande ombra. I due banchieri vengono immaginati nella favola dei due
scorpioni in battaglia che finiscono con l’uccidersi ambedue. Profezia avverata. Esisteva un trenino: Calvi ricattava lo
IOR o almeno tentava, ma a sua volta era ricattato da Sindona. Già nel 1979 il giudice Alessandrini riceve l’incarico di
indagare sull’Ambrosiano, ma viene ucciso da appartenenti a “Prima Linea” e il Banco Ambrosiano cammina ancora
sebbene zoppicante.
Le acque del mondo finanziario vaticano sono turbolente, perché è in atto una lotta tra fazioni interne, tra lo IOR e
l’Opus Dei che faceva a gomitate per ricavare un suo spazio e riconoscimento anche economico. C’è il sospetto che
l’attentato al Papa, il rapimento di Emanuela Orlandi (confusa con Raffaella Gugel, figlia di Angelo aiutante di camera
del Pontefice) siano avvenuti perché questi troppo favorevole all’Opus Dei.
Negli anni Ottanta crisi dell’Ambrosiano ovviate con corposi finanziamenti da parte dell’Eni ottenuti con gravose
tangenti a politici. Nel maggio dell’81 Calvi viene arrestato per reati valutari. Minaccia di fare il canarino, il delatore, e
di cantare a squarciagola. Conosceva i canali sotterranei attraverso i quali le imprese di Stato versavano denaro nei conti
neri dei maggiori partiti. Una volta incarcerato, confessa il conto “protezione” (in Svizzera) del partito socialista.
Promette di consegnare la lista dei 500 colpevoli di aver esportato valuta all’estero, sottovalutando il rischio.
Aspettando l’appello è libero, ma forse sarebbe stato più sicuro in carcere. Cosa Nostra ha usato il Banco Ambrosiano e
lo IOR per massicce operazioni di riciclaggio come aveva fatto con Sindona e si vuol cautelare.
Nel Giugno del 1982 Calvi, poco prima della sua tragica fine, scrive una lettera accorata al Papa Giovanni Paolo II.
Ricorda la sua esposizione nel Centro-sud America, d’accordo alle autorità vaticane, per contrastare le ideologie
filomarxiste, e gli ingenti aiuti al Sindacato polacco “Solidarnosc”. Insomma, con lo IOR contro il comunismo, e adesso
la banca vaticana si fa latitante e mancano milioni di lire. Calvi è abbandonato a sé stesso. Disperato, si rivolge a Sua
Santità come ultima speranza. Inutile. Il Vaticano risponderà in seguito affermando che la lettera non è mai arrivata.
L’ultima àncora di salvezza è il coinvolgimento, giustamente, dello IOR. E al momento decisivo esce un documento nel
quale Calvi dichiarava di liberare lo IOR da ogni danno presente e futuro. L’obiezione: la lettera era del Banco
Overseas di Nassau nel quale Marcinkus era consigliere e quindi è come se avesse liberato se stesso, ma la presunta
correità cade nel vuoto. A questo punto Calvi spera nell’intervento dell’altro polo bancario vaticano: l’Opus Dei…
Il “bussate e vi sarà aperto” questa volta non funziona. Il Vaticano si defila. Con i Patti Lateranensi che precludono ogni
commistione con lo Stato Italiano si salverà e offrirà solo un piccolo obolo volontario: “un gesto di buona volontà”.
Londra: “Blackfriars Bridge”, il ponte dei Frati Neri, qualcosa di religioso sino alla fine. Il 18 giugno qui viene ritrovato
strangolato e impiccato, con una ridicola messinscena di suicidio, Roberto Calvi. Indossava due paia di mutande, in
tasca tre paia di occhiali, pronto per un presunto viaggio-fuga con l’imbarco dal Tamigi. E invece eccolo a dondolare
ormeggiato lì, con le pietre in tasca a far zavorra. Negli stessi giorni, la sua segretaria particolare si suicida veramente
gettandosi dalla finestra.
Sindona e Calvi: se burattini, chi i burattinai? Gli organi di controllo che facevano? Money, money, money come
cantavano gli “Abba”. In fondo sono stati due filantropi di soldi dati in prestiti che, man mano, sono diventate donazioni
immaginando un ritorno che non avverrà. L’uccisione? Ripicca per le casse vuote, e qualcuno scottato, o per cancellare
i nomi dei beneficiari. Il buco accumulato e accertato una voragine immensa, inconcepibile.
Come se avessero giocato a Monopoli maldestramente. Due capitani di sventura destinati al naufragio ma chi era
l’armatore? I giudici nelle sentenze sono espliciti: coinvolti e colpevoli sono la mafia americana e italiana, la P2 e,
ahimè, il Vaticano.
E Marcinkus? Il passaporto diplomatico con la sua immunità lo preserva dai mandati di cattura. Esce tranquillo da
quell’enorme disastro finanziario e va a fare il pensionato in Arizona. Dietro di sé a Roma un sequel di incresciose
vicende. Certo che per lui i denari non erano lo… sterco del diavolo avendoci immerso a lungo le mani.
Storie di altri tempi? Sembra. Commissioni parlamentare d’inchiesta, e la Banca d’Italia dal 2014 ha il MVU, ovvero il
meccanismo di vigilanza unico. Ed ecco i crack della Veneto Banca, della Popolare di Vicenza, dell’Etruria. La
faccenda del Monte dei Paschi di Siena con il dubbioso suicidio del suo funzionario. E ieri, nel 1893, lo scandalo della
Banca Romana e Giolitti. Il Gattopardo aveva ragione: tutto cambia affinché nulla cambi.