Il linguaggio della politica è sceso a livelli da osteria e dimostra l’impotenza di chi ne fa uso e abuso…
di Vittorio Dal Piano
Qualcuno la chiama “Volgare Eloquenza”, per dire un’eloquenza che si collega al volgo, cioè al popolo. Ma in realtà non si tratta di popolarità, quanto di populismo: per questo il linguaggio politico è spesso così becero.
La via dell’odio si è diffusa in maniera inarrestabile nel discorso pubblico, mentre assistiamo a un imbarbarimento del “linguaggio politico”, con l’utilizzo di termini volgari e anche molesti, sgradevoli per chi ascolta e per le Istituzioni tutte. I politici, per primi, a cominciare da quelli che reggono le più alte cariche istituzionali (Presidente della Repubblica escluso, che resta uno dei pochi a usare un linguaggio garbato e degno dell’Istituzione che rappresenta) si esprimono come se fossero al bar, per cui l’aggressività diventa la regola. Non ci si cura più di quel consueto dialogo istituzionale che esisteva un tempo, mentre assistiamo una totale assenza di rispetto dei ruoli, a uno sgarbo istituzionale continuo che manifesta soltanto la debolezza politica e l’arroganza di contenuti di chi, in mancanza di argomenti, dimostra di non reggere alle critiche per cui offende senza saper affrontare un dibattito civile e democratico. L’aggressività verbale verso gli interlocutori politici è una mancanza di stile, ma rappresenta anche un affronto alla carica che si ricopre ed è tipico atteggiamento arrogante di chi vorrebbe solo obbedienza. E per chi non la pensa alla stessa maniera, c’è il linciaggio con toni sprezzanti. All’educazione si preferisce la rissa, al dialogo si risponde con l’insulto. Ma questi “politici” da baraccone non si accorgono che, così facendo, dimostrano la loro debolezza, non la loro forza, ma la loro impotenza. Restano dei poveri “impotenti sfasciacarrozze” che, anziché vivere nei Palazzi delle Istituzioni, dovrebbero tornare a vivere (come i loro antenati) nelle… caverne. Da trogloditi.