Per l’Istat, mentre è aumentata la “pressione fiscale” da parte dello Stato, due ombre gigantesche aleggiano sul futuro della nazione: la vecchiaia e la povertà, mentre per l’Ocse “i salari reali non sono ancora tornati ai livelli prepandemia”  

 

In Italia c’è chi preferisce nascondere la testa nella sabbia per non vedere e per consolarsi nel “mal comune, mezzo gaudio” e chi, invece, i conti li fa con la realtà, che è quella che gli stessi organi dello Stato certificano.

Le bollette aumentano? “Speriamo nella bella stagione!”. I dazi americani porteranno disagio? “Non drammatizziamo…” (anche se le Borse vanno a fondo…). Il costo della vita aumenta? Situazione “fisiologica”… La pressione fiscale è scesa? Tutt’altro: in Italia è salita. Lo ha certificato proprio ieri l’Istat nei suoi conti trimestrali, confermando i dati diffusi già all’inizio del mese di marzo. Secondo l’istituto, il peso delle tasse si è attestato al 42,6% del pil, registrando un incremento di 1,2 punti percentuali rispetto ai 41,4 del 2023.

Di recente, poi, a Montecitorio, il presidente dell’Istat ha presentato i dati del rapporto annuale dell’Istituto di Statistica sulla situazione del Paese da cui due dati emergono con più forza: in Italia siamo sempre più vecchi e sempre più poveri. Negli ultimi decenni abbiamo perso 3 milioni di giovani e siamo arrivati a un numero di persone in povertà assoluta mai toccato in precedenza. Nel 2024 il 23,1% della popolazione era a rischio di povertà o esclusione sociale (nel 2023 era il 22,8%), si trova cioè in almeno una delle tre seguenti condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale oppure a bassa intensità di lavoro. La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale (indicatore composito Europa 2030) nel 2024 è stata quindi di circa 13 milioni e 525mila persone. Nel rapporto si legge che, nonostante i miglioramenti sul mercato del lavoro negli ultimi anni, “l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Nel caso della povertà assoluta, anche i dati sul breve termine non sono positivi e testimoniano meglio degli altri l’impatto dell’inflazione”. Ma è il dato demografico probabilmente quello più tetro, fra tutti quelli del “report”. In 20 anni abbiamo perso il 23% dei giovani, mentre in 30 anni le persone di 65 anni e più sono passate da 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 (+54,4%). L’età media italiana è passata da 42 a 46 anni, ed è over 75 il 12,6% dei residenti. Al di là dell’ormai conclamato “inverno demografico” italiano, un dato su tutti per capire come la mancanza di giovani lavoratori caratterizzerà anche i prossimi anni.

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A questi dati Istat si aggiungono quelli dell’Ocse che rileva come l’Italia sia tra i Paesi – insieme a Sudafrica, Francia e Giappone – in cui, a fine 2024, i salari reali non sono ancora tornati ai livelli prepandemia e, secondo gli economisti, la crescita salariale non raggiungerà i livelli prepandemia nemmeno entro fine del 2025. Nel frattempo, il nostro Paese dovrà affrontare sfide legate alla crescita e alla sostenibilità fiscale che – secondo l’Organizzazione – richiedono un impegno continuo per riforme strutturali e politiche economiche mirate (al fine di evitare un aumento del debito pubblico).

 

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