di Maria Antonella Pratali
Goliarda Sapienza è una deflagrazione tardiva, un grido che ha impiegato decenni per arrivare alle nostre orecchie ed essere finalmente ascoltato.
Nata a Catania nel 1924 da due figure di spicco del socialismo italiano, Sapienza crebbe in un ambiente permeato da ideali progressisti. Fu educata privatamente da genitori e fratelli per evitare l’indottrinamento della scuola fascista, a diciassette anni si trasferì a Roma con la madre per studiare recitazione all’Accademia d’Arte Drammatica e lavorò con diversi registi, tra cui Citto Maselli, suo compagno per diciotto anni.
Dopo la morte della madre, nel 1953, visse periodi di forte depressione, che la portarono a tentativi di suicidio e a trattamenti psichiatrici, tra cui vari elettroshock. Le esperienze dolorose divennero materia letteraria nei due romanzi autobiografici “Lettera aperta” (1967) e “Il filo di mezzogiorno” (1969).
Il suo capolavoro, “L’arte della gioia”, concepito tra il 1967 e il 1976, fu inizialmente rifiutato dagli editori italiani, perché il contenuto era ritenuto scabroso e troppo anticonvenzionale. Il libro è un’esplosione etica e sensuale, scritta controcorrente in un’Italia ancora spaventata dalla libertà delle donne. Solo nel 1996 fu pubblicato grazie all’impegno del marito Angelo Pellegrino, e ottenne riconoscimenti internazionali. In Italia fu pubblicato sulla scia del successo riscontrato oltralpe.
Nel 1980 fu incarcerata per un breve periodo in seguito a un furto di gioielli ai danni di un’amica ricca. In un’intervista rilasciata ad Anna Amendola e Virginia Onorato nel 1994, dichiara di essere stata “dentro” troppo poco. Avrebbe volentieri prolungato la sua permanenza a Rebibbia per rinnovare il suo linguaggio: si sentiva imborghesita, infragilita dal troppo lavoro intellettuale. «C’è chi sciacqua i propri panni in Arno, chi a Rebibbia». Con questa frase provocatoria Goliarda Sapienza dichiara la propria gratitudine alle sue compagne di cella, che frequenterà anche fuori, coltivando amicizie che le trasmettono genuinità, istintività e vita vera, al contrario della vita borghese dei circoli intellettuali a cui appartiene. Dopo questa esperienza scriverà “L’università di Rebibbia” (1983).
Il titolo del film, “Fuori”, ( https://italiasara.it/2025/06/07/cinemitalia-recensioni-fuori-un-momento-nella-vita-di-goliarda-sapienza/ ) evoca la scelta radicale di Sapienza: stare fuori da tutto ciò che imprigiona, come il patriarcato, la morale cattolica, le convenzioni sociali.
Cosa significa “stare fuori”? È solo un’autoesclusione o può essere uno spazio fertile, dove la consapevolezza può espandersi? Goliarda Sapienza ci ha fornito una possibile risposta: il “fuori” è un altrove dove fiorisce il coraggio dell’autodeterminazione.
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