Tempo di carnevale: l’età dell’oro

di Rossana Piccioli

 

È tempo di carnevale: maschere, mascherine, carri allegorici maschere collettive, organizzate e orchestrate da Enti specificatamente preposti e con finalità generalmente lucrative. “Bisogna” divertirsi, ridere, essere spensierati ed estremamente disponibili. E questo va fatto dal 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate al 46° giorno prima di pasqua (quest’anno il 20 aprile), non prima né dopo, perché questo è il tempo del carnevale. Carnevale di Venezia, di Rio de Janeiro, di San Gimignano: chi più chi meno vistosamente nei giorni prescritti celebra inconsapevolmente un rito che ha radici lontane e del quale, col passare del tempo si è perso quasi del tutto il ricordo e la finalità.

Eppure il carnevale ha un’origine proprio italiana, anzi romana: fu istituito nell’antica Roma repubblicana nel 498 a.C. sotto il consolato di Aulo Sempronio e Marco Minucio (Livio-II°-22). Fu in quell’anno, infatti, che venne inaugurato un tempio a Saturno ai piedi del Campidoglio e furono indetti tre giorni di particolari festeggiamenti i “Saturnali” in onore del dio sotto il quale l’umanità visse la splendida Età dell’Oro. “I mortali passavano la vita come gli dei, con l’animo sgombro da angosce fuori dalle fatiche e dalla miseria: né la vecchiaia incombeva su loro, ma sempre con lo stesso vigore nei piedi e nelle mani godevano nelle feste, lontani da tutti i malanni. Essi avevano tutte le cose belle: la terra feconda recava i frutti spontaneamente in gran copia. Essi morivano come colpiti da gran sonno” (Esiodo-Le Opere ed I Giorni-V. 111-120). Così Esiodo descrive quell’età felice e fu nell’intento di ricercare quel clima mitico che nacque l’idea di dedicare almeno tre giorni l’anno alla gioia ed alla spensieratezza che avevano caratterizzato il regno di Saturno, il quale, secondo la leggenda italica che risente però dell’influenza greca, quando fu scacciato dal cielo dal proprio figlio Giove, si sarebbe nascosto in quella parte di Italia che, da lui avrebbe preso il nome di Lazio, dal verbo latino lateoche, vuol dire nascondersi, di cui fu anche il primo re.

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I Saturnali

Durante i Saturnali, che si svolgevano all’incirca dal 17 al 19 Dicembre in corrispondenza del solstizio d’inverno, era sospesa l’autorità ed il potere dei padroni sugli schiavi che potevano finalmente fare e dire in piena libertà tutto quanto passasse loro in mente, cominciando a mutare i loro abiti con quelli dei padroni che, “una tantum” si trasformavano in loro servitori. Si chiudevano i tribunali si faceva vacanza a scuola, era proibito partecipare o iniziare azioni belliche ed eseguire condanne a morte. Praticamente non si poteva esercitare alcuna attività, tranne naturalmente la culinaria, dato che pranzi e banchetti si susseguivano senza soluzione di continuità.

Al lato di queste manifestazioni c’era anche una parte ufficiali di apertura che consisteva in un solenne sacrificio nel tempio del dio cui seguiva un banchetto pubblico nel corso del quale i convitati si scambiavano brindisi, doni ed auguri di prosperità e fertilità anche perché a Saturno si faceva risalire l’introduzione dell’agricoltura essendo considerato preminentemente come divinità di carattere agrario, tanto che alcuni studiosi moderni fanno derivare il suo nome dal verbo latino “serere” che significa seminare. Nel suo tempio, del quale adesso sono rimaste solo tracce di fondamenta nel foro, i Romani custodivano l’erario dello Stato, per cui spesso il tempio veniva detto semplicemente il Tesoro.

I Saturnali furono fra le feste romane le più popolari e diffuse e i tre giorni iniziali furono poi aumentati fino a cinque dall’imperatore Caligola verso il 40 d.C. (Dione Cassio-libro LIX). Naturalmente, con l’avvento degli imperatori cristiani queste festività furono soppresse: vi si sovrapposero quelle per la nascita del Redentore, improntate a tutt’altro clima e a una concezione di “festa” completamente diversa, se non opposta. Ma, nei recessi più profondi dell’animo umano, rimase e si trasmise il desiderio di tuffarsi di nuovo nell’allegria pagana e orgiastica dei Saturnali. E così, approfittando anche della disponibilità della Chiesa, si trovò modo di rivivere quei giorni, spostandone ovviamente la data: non c’erano più schiavi, ma si poteva comunque usare vestiti diversi, ci si poteva nascondere dietro una maschera come per nascondere, anche se stessi, la faccia più buia della nostra natura che, liberata dai tabù e dal conformismo, almeno in quei giorni si lasciava andare seguendo il proprio istinto.

Ci si domanda, da qualche anno, come mai il carnevale sia in realtà solo un’operazione turistico-finanziaria e perché non spanda intorno quell’alone di gioia e spensieratezza che lo distingueva dalle altre feste dell’anno. È che vestiti strani, ormai, si possono portare ogni giorno; l’istintualità trionfa, i “fast food” sono “non stop” in tutte le città grandi o piccole che siano. A che serve ormai il carnevale?

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