A Cogorno (Genova) n’iniziativa di respiro nazionale nata sotto l’egida del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale per sentirsi tutti fratelli Italiani e ricordarci che si è sempre “meridionali” di qualcuno
di Elio Esposito (*)
Quando Il sindaco di Cogorno (Genova) Gino Garibaldi e la vice Sindaca Enrica Sommariva mi hanno chiesto di aderire al progetto” “2024: anno delle radici,” con il mio lavoro cinematografico, “Quell’ultima nota d’amore- Prie Neigre”, non ho avuto un attimo di esitazione, e ho accettato con piacere. L’ho ritenuta, una iniziativa lodevole, utile per ricordare tutti gli emigranti che hanno lasciato il nostro territorio in cerca di fortuna all’estero, come Nanni, il fidanzato di Francesca, che nel mio cortometraggio lascia la sua fidanzatina per poi ritornare, come aveva promesso. A conclusione di questa fantastica opportunità che ha creato tanti eventi commemorativi nel 2024, nata sotto l’egida del Ministero degli Esteri, della Cooperazione Internazionale, affiancato dal Ministero della Cultura, abbiamo inaugurato, come ultimo avvenimento, “La panchina dell’emigrante”. Credo che la panchina sia uno dei simboli più commemorativi. Rappresenta il riposo di chi, dopo i sacrifici di una vita vissuta con il doppio peso della fatica, e della lontananza vi posa le stanche membra. Ma anche la struggente malinconia di coloro che sono rimasti aldilà dell’oceano, e non sono riusciti a ritornare, ma non hanno mai dimenticato la propria terra. Chi vi è seduto, idealmente volge lo sguardo verso l’orizzonte, attraversando monti e mari, nell’illusoria speranza che annusando il vento, si possa risentire il profumo di casa. Mi raccontava un mio zio emigrato in Australia, che spesso, seduto su di una panchina, osservava la risacca. Gli piaceva immaginare che quel mare, forse, prima di arrivare a Melbourne, aveva baciato la sabbia di Castellammare. Lunedì, osservando quella panchina, coperta dalla gloriosa bandiera tricolore, ho pensato che all’estero non esistono dialetti, campanilismi, basta sentire parlare italiano, per sentirsi fratelli e amare ancor di più il simbolo della nostra Patria. Quando i bambini delle scuole hanno intonato “Il canto degli Italiani”, la mia mano destra, e quella di tutti i presenti, si è appoggiata sul cuore, i nostri sguardi erano rivolti verso il cielo. Qualcuno ha cantato l’inno con accento americano, qualche altro con quello argentino, ma nessuno ha sbagliato una parola. Ho dato un’occhiata ai piccoli studenti presenti che ci hanno allietati recitando e cantando, tra loro c’erano bambini africani, moldavi, albanesi, la nuova emigrazione. Oggi è l’Italia la nuova frontiera, e noi abbiamo il dovere di restituire ciò che ci è stato dato nei secoli scorsi: l’ospitalità. Tutti i presenti, aldilà di razza o colore, cantavano l’inno di Mameli. Spesso basta una canzone, per abbattere tutte le barriere, basta poco, un’opportunità, un sorriso, una stretta di mano, per sentirsi tutti, fratelli Italiani.
(*) Scrittore e autore cinematografico.
Nella foto: a sinistra l’arch: Domingo Tonini e a destra lo scrittore Elio Esposito all’inaugurazione della “Panchina dell’emigrante”.