CinemItalia Approfondimento, Tre statuette agli Oscar per The Brutalist: solo un film ?

di Maria Antonella Pratali 

Qual è il merito più grande di un’opera d’arte?
Se così si può definire anche un film, allora “The Brutalist” lo è: non solo un film, ma un pozzo di
San Patrizio di spunti, suggerimenti, riflessioni ed emozioni.
Nascosti nelle pieghe della lunghissima pellicola (vd. la recensione di Patrizia Monzeglio su questo
stesso giornale: https://italiasara.it/2025/02/09/cinemitalia-the-brutalist-larte-tra-sogno-e-
mercato/ ) ci sono alcuni riferimenti che vale la pena di riprendere e approfondire.
Il titolo si riferisce al Brutalismo, dal francese “béton brut”, il cemento a vista che la caratterizza. Il
movimento nasce in Inghilterra nel secondo dopoguerra e si diffonde rapidamente, sia per la
necessità di ricostruire in fretta le città, sia per contrapporsi alla leggerezza degli stili precedenti.
Dopo aver suscitato molte reazioni critiche, oggi vive un netto revival, per la sobrietà e
l’essenzialità che lo contraddistinguono. Non piace a Donal Trump, che ha emanato un nuovo
ordine esecutivo per promuovere la “bella” architettura federale, classica e tradizionale, in
contrapposizione al brutalismo.
Il protagonista Lázsló Tóth (interpretato da Adrien Brody, Oscar per Miglior Attore) è un
personaggio di fantasia, che sintetizza in sé tre grandi architetti realmente esistiti: Paul Rudolph,
Louis Kahn e Marcel Breuer, quest’ultimo architetto e designer ungherese di scuola Bauhaus, di
cui faceva parte anche Tóth prima che il nazionalsocialismo la chiudesse nel 1933.
Cos’era il Bauhaus, e perché faceva tanta paura ai nazisti?
Fondata nel 1919 da Walter Gropius nella neonata repubblica tedesca di Weimar, si proponeva di
unire arte, design e architettura. Accolse studenti e alcune studentesse da tutte le parti del
mondo. Il suo intento era promuovere semplicità, forme geometriche essenziali, uso di materiali
industriali.
Era sgradito ai nazisti perché rappresentava tutto ciò che il regime rifiutava: modernità,
internazionalismo, rottura con la tradizione, libertà artistica. Quando fu chiusa dalla Gestapo,
molti dei suoi docenti e studenti emigrarono e ne diffusero il patrimonio e le idee in tutto il
mondo, rivoluzionando l’architettura e l’arte.
Un bellissimo esempio di Bauhaus nel film è rappresentato dalla biblioteca personale del magnate
Van Buren, anch’esso personaggio inventato. Inizialmente in stile déco, viene trasformata da Tóth
in un gioiello modernista, con scaffali in legno dal pavimento al soffitto, chiusi da pannelli che si
aprono a ventaglio premendo un pulsante. Al centro, un’unica poltrona dalle linee sinuose e
accoglienti, costruita con tubolari di acciaio. Linee pulite, essenziali, evocative. Tanto che
all’inaugurazione uno degli invitati dice che quella biblioteca gli ricorda una biblioteca infinita
descritta in un racconto letto in tempi recenti. Ci ricorda qualcosa? Il celebre racconto di Jorge Luis
Borges “La biblioteca di Babele” (pubblicato nel 1941 nel volume “Finzioni”), metafora
dell’universo e della conoscenza infinita.
Tornando alla domanda iniziale, una delle possibili risposte è: far lavorare la mente attraverso le
connessioni, che ci mettono in relazione tra noi e con “altri” da noi, aprire qualche finestra e far
entrare aria nuova.

 

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