45 anni dopo, le verità nascoste: battaglia segreta (ma non troppo) sui cieli di Ustica

27 giugno 1980: una pagina “buia” della “Prima Repubblica”

SECONDA PUNTATA

Inchiesta di Vittorio Dal Piano e Marco Delpino

 

Cosa accadde realmente la sera di quel tragico 27 giugno 1980?

Nel tardo pomeriggio di quel giorno, da una base militare della Jugoslavia partì un aereo militare libico per fare rientro in patria. Non era la prima volta che ciò accadeva, dal momento che esisteva una sorta di “patto segreto” tra le autorità italiane e quelle libiche, secondo il quale aerei militari di Gheddafi avrebbero potuto sorvolare i cieli d’Italia, a insaputa degli alleati del Patto atlantico, per raggiungere una base slava, controllata dal governo del Maresciallo Tito, al fine di attuare opere di manutenzione a quel tipo di velivoli che, essendo di fabbricazione sovietica, non potevano raggiungere i lontani confine dell’Urss ma recarci nel più comodo e vicino paese “satellite” jugoslavo. Per evitare di essere intercettati, i velivoli libici si allineavano di solito lungo i tracciati degli aerei di linea italiani. Quella sera, però, nel mar Tirreno era in atto una vera e propria operazione di addestramento della Nato, ovvero dei paesi alleati dell’Occidente. Al largo della Corsica era, infatti, operativa la portaerei francese Foch, mentre la marina americana aveva ormeggiata, nella rada di Napoli, la Uss Saratoga. Il velivolo militare libico, nascostosi in un primo tempo ai radar grazie al fatto di essere sulla scia del Dc-9 dell’Itavia che viaggiava da Bologna a Palermo, fu intercettato sia dai francesi che dagli americani attraverso la rilevazione delle portaerei Foch e Saratoga. Alle 19:30, due piloti istruttori italiani, Naldini e Nutarelli, decollarono con un F-104 biposto dalla base di Grosseto per compiere un volo di addestramento “in coppia” con un secondo F-104 pilotato dall’allievo Aldo Giannelli. L’F-104 pilotato dall’allievo Giannelli rientrò alla base alle 20.35, mentre gli istruttori Naldini e Nutarelli, che lo avevano “accompagnato” fino all’atterraggio, effettuarono un circuito individuale per atterrare, a loro volta, 10 minuti più tardi, alle 20.45. Ma poco prima di atterrare a Grosseto, dunque poco dopo aver “incrociato” il DC9 Itavia che stava andando incontro al suo tragico destino, dall’ F-104 venne attivato il codice d’emergenza “73”, che ha il significato di “allarme in corso”. Nel frattempo due caccia francesi e due caccia statunitensi, partiti dalle basi Nato, individuato il Mig libico, gli imposero di dirottare verso uno spazio aereo libero al fine di essere “preso in consegna”. Ma poiché il velivolo militare libico continuava imperterrito a seguire la rotta del Dc-9 dell’Italia, incurante dei richiami delle forze militari della Nato, i caccia alleati si prepararono al fuoco per abbattere l’intruso. All’improvviso il Mig libico virò cercando di guadagnare la via verso la Libia, in prossimità dei cieli di Sicilia, scansando un missile lanciato dagli aerei inseguitori. Per cui, quando l’aereo “nascosto” si spostò, il missile andò a colpire l’aereo di linea, in quanto quel tipo di missile a guida infrarossa segue sempre le fonti di calore, per cui, nello spazio circostante, il velivolo significativamente più grande e più caldo era l’aereo di linea. Un’altra ipotesi fu la possibile perdita di controllo da parte di uno dei caccia inseguitori, che entrò così in collisione con il Dc-9 dell’Itavia. In ogni caso, però, a essere colpito fu l’aereo civile con il suo carico di ottantuno uomini, donne e bambini. L’aereo libico, invece, fuggito a questo primo scontro, tentò di risalire la penisola virando verso la Calabria, forse nel tentativo di tentare un ritorno alla base jugoslava, ma fu inseguito dai caccia della Nato e, mitragliato, finì per schiantarsi sui monti della Sila.

In un accurato lavoro di ricostruzione, che durò molti anni, il giornalista investigativo Andrea Purgatori raccolse la testimonianza di due membri dell’equipaggio della portaerei americana Saratoga secondo cui due caccia americani, partiti dalla portaerei con l’armamento, tornarono senza di esso. Sulla base di questi e di molti altri elementi, Cora Ranci autrice del libro “Ustica. Una ricostruzione storica” (il Mulino, 2020), conclude che la tesi prevalente individua come aggressori dell’aereo civile italiano gli Stati Uniti o la Francia, anche se nessun tribunale finora ha potuto certificarla e, forse, non potrà mai farlo. Ad accreditare questa tesi, si aggiunse il 18 luglio 1980 un importante tassello al mosaico dell’intrigo. Quel giorno, infatti, la carcassa di un Mig-23 libico fu trovato sui monti della Sila, in Calabria. Le fonti ufficiali sostennero che fosse caduto quello stesso giorno. Ma alcuni abitanti della zona testimoniarono che l’aereo militare libico non cadde affatto a luglio, ma almeno venti giorni prima, quindi a fine giugno. Inoltre, quel Mig presentava fori compatibili con una raffica di mitragliatrice, evidentemente frutto di uno scontro aereo. Ma anche se l’autopsia sul corpo del pilota evidenziò un cadavere in evidente stato di decomposizione, la perizia ufficiale indicò, senza tema di smentite, che lo schianto avvenne il 18 luglio. Ipse dixit.

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Nella foto: il DC9 dell’Itavia recuperato e ricostruito in un hangar.

(fine seconda puntata)

LA PRIMA PUNTATA E’ STATA PUBBLICATA SU QUESTO SITO NELLA SEZIONE “LE NOSTRE INCHIESTE”

 

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