Piccolo poema in prosa dedicato ai misteri degli abissi
di Elvira Landò
Questo scritto è dedicato: al chiavarese Franco Casoni, in occasione del premio Aurelio Galleppini edizione 2025, conferitogli il 10 maggio scorso, da parte dell’Associazione “Mosaico”, quale “riconoscimento alla Carriera per l’Arte dell’Intaglio”.
LA POLENA
Quante cose non sapete del mare… delle sue mille anime… Il mare è il nostro sposo. Il mare è lo sposo di noi polene. Quando la prora di un naviglio avanza, e le onde che fende s’allargano ai suoi fianchi e si sollevano come ali mentre la polena governa la rotta, più attenta del timoniere, allora il mare le porge doni e le riconosce tutta la maestà che il nostro potere possiede. Il mare si inchina dinanzi a noi. Mille e mille anni il mare ci ha amate e attese, curioso di scoprire il nostro essere, al di sotto delle diverse sembianze, pronto a renderci partecipi della sua vita. Voi scorgete solo le nostre forme, quelle che l’artefice ha elaborato. Talora abbiamo figura di donna, con capelli lunghi e sciolti che il vento accarezza e districa, per poi intrecciarli mentre l’onda li sommerge. Talvolta siamo teste mostruose, siamo liocorni o grifoni… No, vi ingannate, la nostra realtà non è questa. Ogni volta che un ebanista scolpiva una figura, qualsiasi figura, e questa veniva posta sotto la prora, ripiegata sotto il castello, pronta a slanciarsi verso orizzonti lontani, verso terre sconosciute, verso imprese memorabili, entrava in lei una virtù, quella stessa che possedevano i mostri che ornavano le navi egizie, le imbarcazioni greche, romane, come i rostri, o quegli occhi, posti sotto il bompresso, aperti, vigili, intenti a scrutare gli abissi, a intimorire i mostri sempre in agguato. E il mare, il mare allora sempre felice, accettava che un’imbarcazione, guidata dalla polena protesa verso gli abissi, lo profanasse, lo solcasse rapida, perché lungo la prora si protendeva verso le onde una figura a lui dedicata. A lei donava la sua anima. E le onde celavano misteri e tesori. Alcuni esseri umani hanno capito da millenni che il mare si doma solo se gli si parla con il suo linguaggio, come deve accadere con i venti, le nubi e le stelle. Le nubi ci svelano forme arcane, cifra di una lingua cosmica. Le stelle si uniscono in figure: le chiamano costellazioni. Solo i poeti ne conoscono la vera realtà, ne discernono la presenza e ne decifrano il senso. Altri artefici, coloro che forgiano i metalli, e quanti lavorano il legno, scorgono al di là della materia la fuggevole perenne forma di noi polene. E’ quella che il mare riconosce ed ama. E’ quella che i naviganti conoscono e amano, e alla quale si affidano. A questo modo il mare accetta di venire a colloquio. I mostri si fanno docili. I tritoni creano musiche con le loro armoniose ricurve conchiglie, le sirene s’accostano benevole. Draghi e serpi si lasciano cullare e poi si insinuano in basso nei gorghi, pacificati. Il mare nasconde misteri. Ha mille anime, che accondiscende a donarci. E noi, polene, che portavamo al mare il ricordo di Venere, nata dai suoi flutti, in quel mare di porpora che poeti e rapsodi hanno eternato, di queste anime palpitavamo, le custodivamo in noi, per restituirle vigorose agli ardimentosi capitani, ai coraggiosi marinai, agli esploratori degli oceani e degli abissi… Oggi voi uomini non credete più all’esistenza di mostri marini, non sapete più discernere dal rombo della tempesta il canto delle sirene, non vedete nella notte i tritoni che abbandonano sulle spiagge le conchiglie con cui hanno giocato, nella danza dei flutti, con le sonorità che il vento porta lontano. Non scolpite più le polene che proteggono i lunghi viaggi, che placano i venti irati e richiamano le benefiche raffiche capaci di far volare i cutter sulle onde. Il mare può esser tremendo nella sua violenza, e sconvolger le rive, mutar forma alle spiagge, e portare rovina e sfacelo. Ma il mare nasconde tesori. E noi, polene, se una nave si inabissava, portavamo al mare i marinai che quei tesori avevano saputo scorgere, pur nel fragore della tempesta, alla luce dei lampi rivelatori. Li deponevamo sul fondo, ed essi rinascevano tritoni saturi di bellezza e di musica, e sapevano trarre dalle grandi conchiglie nuovi suoni, di dolore e pure di speranza… Noi oggi, polene addormentate, piene di ricordi, ma senza più fiato né forza, nel petto e nello sguardo, siamo ormai soltanto immagini di una mitologia dimenticata, forse presente nei sogni di qualche scultore nostalgico, che raccoglie nel cuore memorie di viaggi favolosi, di cui parlare ai piccoli curiosi nipoti, favole che un vento freddo può ingannevolmente e crudelmente scacciare. L’onda ormai sola cancella ogni cosa, memorie, tracce, sogni, miti…. Eppure il mare conserva con fedeltà e amore, nel segreto del fondo, le spoglie di quanti egoismo e avidità ha indotto a cacciare dalla terra madre, intere famiglie… Sono le creature che ispirano quei canti dolenti, che parlano di una patria perduta, dell’angoscia di un viaggio senza mete agognate, della quotidiana paura che incombe ed incalza… E in mano ai tritoni le conchiglie si frantumano… e cadono nei gorghi ad ornare le meste spoglie di bimbi innocenti… Anche il mare è malato, ormai. Se noi siamo a languire nei sotterranei dei musei, oppure siamo esposte alla vista di chi ci dedica uno sguardo breve e distratto, il mare, avvelenato come l’aria e la terra, conserva nei suoi abissi qualche meraviglioso ricordo di una vita multiforme, incredibilmente varia, ma soffre di nostalgia per i suoi preziosi monili, coralli e balene, delfini e perle, per i meravigliosi innumerevoli abitatori di un purissimo mondo, che sembra destinato a perdersi. Se Venere nacque dal mare, da dove ormai la bellezza potrà scaturire? Noi polene ci trasmettevamo, nell’incontrarci, un canto: era la bellezza di Venere che cantavamo, insieme alla forza del vento, all’intrepida ostinazione dell’uomo avido di conoscenza, alle sorprese delle albe e dei tramonti sugli oceani. La nostra voce si è fatta flebile, sono sogni che ci visitano nel silenzio, o racconti dolorosi delle vite perdute senza più la speranza, quando ci giunge, da lontano, il respiro del mare. Eppure, quando un’alba ci sorprende, sulle rive del mare, quando un bimbo o un poeta sognano incantati dal mare, possiamo chiamare in aiuto qualche altro compagno, che sgombri cielo e mare dalla caligine del dolore e del male…E noi sirene intoniamo armonie che non seducono ma avvertono i naviganti, e i tritoni ancora traggono dalle loro conchiglie arpeggi sereni, mentre gli abissi degli oceani disvelano i loro meravigliosi tesori, mondi ancora sconosciuti di forme e colori incantati. Scendere nelle profondità degli oceani, per scoprire, meditare, amare, proprio come esplorare gli spazi celesti, è la nuova avventura che attende i novelli Argonauti, e il vello d’oro da conquistare è forse proprio questo amore. Torniamo ad amare il mare che Omero ci ha raccontato, col mistero del suo incessante mutare, dei suoi abissi, dei suoi abitanti che talora non sai se siano fauna o flora ma ti incantano con le forme e i colori. Il mare che non vuole le chiacchiere oziose ma la pazienza dei pescatori, la tenacia dei naviganti, il coraggio degli esuli, l’amore di chi lo esplora, la fantasia di quei bambini e ragazzi che guardandolo pensosi sognano l’altrove e scoprono l’infinito. Il mare che custodisce quei corpi che l’amara dissennata ferocia abbandona, quando assetati di libertà si affidano invano a chi potrebbe portarli ad altre rive, a sponde dove l’uomo è – all’altro uomo – fratello, mentre invece, traditi, li aspetta la morte, o – ancora peggiore – la schiavitù. Il mare che custodisce la vita e i suoi segreti, e quanti ancora ne cela…non può più condividere né sanare i dolori che l’uomo infligge all’altro uomo, perché forse l’umanità ha ormai smarrito l’anima.
Nella foto: lo scultore Franco Casoni – Studio Fotografico Nevio Doz (Chiavari) info@neviodoz.com