di Maria Antonella Pratali
Francesca Comencini costruisce un racconto autentico e autobiografico, ripercorrendo dall’infanzia alla tardo-adolescenza il suo rapporto con il padre, Luigi Comencini (vd. recensione del film https://italiasara.it/2025/06/16/cinemitalia-recensioni-il-tempo-che-ci-vuole-si-aggiudica-cinque-nastri-dargento/).
Rivede sé stessa bambina sul set di “Pinocchio”, diretto dal padre, perché la relazione padre-figlia che lei racconta si costruisce proprio attraverso la mediazione di quell’archetipo fiabesco. È come se Francesca adulta, per capire il proprio padre, avesse bisogno di tornare a Geppetto.
Quel set non è solo uno spazio di lavoro o dell’infanzia: è il luogo in cui il padre si fa mito, dove l’uomo reale (che nell’adolescenza di Francesca è genitore assente, distratto, adorato) diventa creatore. Proprio come Geppetto, Luigi Comencini è il padre che crea mondi, ma non sa essere veramente presente per la figlia adolescente.
L’opera di Collodi è il racconto di una crescita dentro al conflitto con la figura paterna, dove il burattino diventa un figlio riconciliato.
Da adulta, Francesca ricostruisce la propria esperienza per capire chi fosse Geppetto. Ogni figlia guarda il proprio padre come un Geppetto, creatore e inafferrabile. E il tema del mentire e crescere fa parte della narrazione, così come fallire.
“Sempre tentato. Sempre fallito. Non importa. Tentare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio” (S. Beckett, “Worstward Ho”, 1983). Alla figlia in crisi esistenziale il padre, citando Beckett, finalmente la vede, le dedica attenzione “per tutto il tempo che ci vuole”, la esorta a non scoraggiarsi davanti ai fallimenti, anche lui stesso ne ha collezionati molti. Gli errori e i fallimenti sono preziosi, perché ci insegnano qualcosa, ci aiutano a crescere.
Il tema del conflitto con il padre è un tema ricorrente anche nella letteratura, basti ricordare il “Re Lear” di Shakespeare, dove Cordelia è l’unica delle tre figlie ad amare sinceramente il padre, ma viene esiliata. Il re si rende conto troppo tardi dell’amore vero. Nel film, Luigi Comencini capisce i bisogni reali della figlia solo dopo una lunga distanza emotiva.
In “Lettera al padre”, di Franz Kafka, il figlio scrive una lunga lettera al padre (mai recapitata), con il quale ha un rapporto non risolto, pieno di incomprensioni. Nel film padre e figlia riescono invece ad avvicinarsi e a colmare le fratture. Tuttavia il peso simbolico del padre come giudice morale è simile.
Francesca non cerca giustificazioni né colpe. Non c’è giudizio. Solo un lavoro interiore lungo una vita. Il padre è colui che resta. Nonostante tutto, resta in ognuno di noi.