Il mugugno è un’espressione di scontento prolungata e detta a voce bassa, a denti stretti… dondolando un po’ la testa
di Antonio Bovetti
Il termine mugugno è profondamente radicato nella cultura genovese e ligure. È un brontolio sommesso, una lamentela a fuoco lento, che ribolle nell’animo ligure senza mai traboccare. Anche nel lamentarsi, il ligure esercita la sua nota parsimonia: non spreca fiato, né gesti. Il mugugno si manifesta a bassa voce, a denti stretti, in modo che non sembri mai una provocazione, e soprattutto, per non rischiare il litigio. Questo atteggiamento riflette l’indole riservata, a tratti scontrosa, dei genovesi, che preferiscono esprimere il malcontento in forma discreta, quasi elegante, piuttosto che scadere in rumorose rimostranze. Come ha scritto Marcello Carpeneto, “è un gesto di autodifesa, quasi una forma primitiva di democrazia, in cui i lavoratori del mare – autentici prestatori d’opera – hanno saputo dare dignità alla propria fatica, rifiutando di svendere i propri diritti.” Le origini del mugugno risalgono al XIV secolo, quando la “Magistratura dei Conservatori del Mare”, una delle più antiche istituzioni genovesi, istituì il “diritto al mugugno” o “ius murmurandi”. Questo diritto, in buona parte tollerato, permetteva ai marinai di esprimere le proprie lamentele riguardo a questioni marittime, come la sicurezza del porto o incidenti in mare, senza timore di ripercussioni. Queste lamentele potevano essere depositate in apposite cassette situate in città. Una testimonianza storica interessante si trova in Via dei Conservatori del Mare in centro di Genova. Proprio all’inizio del vicolo, è ancora visibile una piccola lastra di marmo, che un tempo segnalava la presenza della cassetta destinata agli avvisi e alle denunce indirizzate agli illustri magistrati preposti alla gestione della vita marittima. Si racconta che il privilegio del mugugno fu concesso inizialmente ai marittimi di Camogli, celebri per le loro imprese sui mari. Nei contratti d’imbarco esistevano due possibilità: Paga elevata, ma divieto di mugugnare. Oppure: paga ridotta, ma libertà di lamentarsi. Nacque così un modo di vivere e di pensare che, iniziato a bordo dei velieri, si diffuse piano piano in tutta la Liguria. Armatori, marinai, agenti marittimi, portuali: tutti adottarono questa filosofia pratica, secondo cui ogni ingerenza o ordine calato dall’alto poteva essere accettato, ma mai senza prima – o dopo – un bel mugugno liberatorio, a denti stretti… dondolando un po’ la testa. A bordo dei velieri e delle navi, il mugugno era una vera valvola di sfogo. I marinai, sottoposti a turni massacranti e condizioni dure, avevano bisogno di esprimere il loro giusto disagio. Tuttavia, la disciplina di bordo non poteva essere infranta: così il mugugno trovò il suo spazio tra mormorii e cenni complici, senza mai mettere in discussione apertamente l’ordinamento necessario ad una navigazione tutelata. Anche dentro le case genovesi, in famiglia il mugugno è una presenza discreta ma tenace. Davanti a una bolletta troppo salata, a una cena insipida o a una giornata storta, la protesta non esplode: si insinua, sotto forma di commenti più o meno sobri a mezza voce, con sguardi verso il cielo e brevi pazienti sospiri. Così si stemperano i conflitti, mantenendo una pace domestica preziosa, fatta di piccoli compromessi e una grande capacità di adattamento. Il mugugno è molto più di un semplice brontolio: è un tratto distintivo dell’identità ligure, un modo ingegnoso e raffinato di affrontare le difficoltà della vita, tanto in pubblico quanto in privato. Perché in fondo, anche lamentarsi – come ogni arte autentica – richiede misura, ingegno e quel tocco di ironica saggezza che ai genovesi non è mai mancato.