CinemItalia. Approfondimenti – “GRAN TORINO” di Clint Eastwood – Un film che parcheggia l’odio e riparte dall’umano.

di Maria Antonella Pratali

Il film “Gran Torino” del 2008, diretto e interpretato da Clint Eastwood, viene riproposto in questi giorni da Netflix. Imperdibile, per chi ancora non l’avesse ancora visto. Da rivedere, per chi già lo conosce. Perché è molto più di un film sul razzismo, sulle gang giovanili e su una famosissima automobile Ford del 1972.
Attraverso la storia di Walt Kowalsky (un veterano della Guerra di Corea, vedovo da poco, incompatibile con i figli, chiuso nel dolore, nei suoi pregiudizi e nel ricordo di un’America ormai scomparsa) assistiamo al miracolo della trasformazione, non facile né retorica, ma credibile e toccante.

Walt vive isolato in un quartiere periferico di Detroit, abitato prevalentemente da immigrati Hmong, un gruppo etnico originario del Sudest asiatico, rifugiatosi negli USA dopo la Guerra del Vietnam, perseguitati in patria soprattutto perché avevano collaborato con gli americani durante il conflitto in Laos. Li guarda con disprezzo (“non voglio asiatici nel mio giardino”), aggrappato a un passato fatto di valori patriottici, disciplina e ordine, incarnati dalla sua Ford Gran Torino. 

L’auto è il simbolo del film: oggetto di orgoglio, feticcio di un’identità operaia e maschile in via d’estinzione, di un’America passata. Quando Tao, un timido adolescente Hmong, tenta di rubarla come rito di iniziazione per entrare in una gang, qualcosa si incrina. Questo gesto dà inizio a una serie di lenti e dolorosi avvicinamenti tra il vecchio burbero e la famiglia del ragazzo. Tra nuovi conflitti e piccoli cedimenti emotivi, Walt incomincia a vedere Tao e la sorella come esseri umani. 

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Il razzismo linguistico, culturale e profondo di Walt non viene cancellato magicamente, ma piuttosto scalfito a più riprese. L’odio razziale va affievolendosi con impercettibili passi e fatti gravi, che scuotono il senso di giustizia di Walt. 

Nonostante i suoi tentativi di opporsi al cambiamento interiore, viene definitivamente conquistato dalla gratitudine e dal rispetto dei vicini asiatici, che lo accolgono nella loro famiglia, mentre è alienato dalla sua famiglia biologica. Nella piccola comunità di vicini Hmong, Walt trova un nuovo senso di appartenenza e i valori di un’America ormai passata. 

Gran Torino” tocca temi forti, oltre al razzismo: la solitudine degli anziani, l’incapacità dei figli di comprenderli, la violenza urbana, i traumi lasciati dalla guerra.

La regia di Eastwood è, come sempre, asciutta e misurata, la sua recitazione è memorabile.

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Il film colpisce al cuore perché va oltre il semplice dramma sociale: è una riflessione sulla possibilità del cambiamento anche nell’ultima fase della vita, e sull’idea che la famiglia può nascere anche al di fuori dei legami di sangue.

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