Una start up per riportare in vita animali estinti

di Nico Colani

La Colossal Biosciences, startup americana con sede a Dallas (Texas), fondata nel 2021,
con oltre 170 scienziati e ricercatori, porta avanti l’obiettivo di reintrodurre in natura
specie estinte, come il il mammut lanoso, il tilacino (ovvero la tigre della Tasmania) e lo
strano uccello dodo, che una volta popolava le Mauritius scomparso dopo l’arrivo dei
coloni olandesi, francesi e britannici sulle isole dell’;Oceano Indiano, che ne hanno distrutto
l’habitat.

La società d’ingegneria genetica ha finora raccolto 200 milioni di dollari per finanziare
questo suo programma da un recente investitore.
Secondo la startup, questo miracolo scientifico potrebbe essere realizzato, ma già le
preoccupazioni ci sono, visto che qualora l’intento avesse successo, potrebbero venire alla
luce animali geneticamente modificati, che non sarebbero animali originali o naturali ma
cloni di essi, la cui vita e sviluppo non conciliabili con le attuali condizioni ambientali a
disposizione.
Già nel 2016, la Commissione per la Sopravvivenza delle Specie dell’;Unione Internazionale
per la Conservazione della Natura, aveva espresso forti preoccupazioni per l’impatto che
potrebbero avere queste iniziative sul nostro ecosistema.
Secondo la Colossal Biosciences però, la reintroduzione delle specie nei rispettivi habitat
contribuirebbe a ripristinare una certa dose di normalità in quegli ambienti.
Se il suo progetto fosse portato alla fine con successo, potremmo vedere degli animali
geneticamente modificati che non sarebbero dei veri e propri mammut, dodo o tilacini ma
specie nuova. Insomma dei sostituti che rappresenterebbero in qualche modo la forma
estinta.
In pratica, sembrerebbe che per creare il clone del dodo per esempio, gli scienziati
utilizzeranno una parte del DNA di un piccione moderno, così come per il mammut, sarà
utilizzato una parte del DNA di un elefante moderno, e per il tilacino nascente, si
avvaleranno del genoma e dall’uovo di una specie affine.
Una domanda però viene spontanea: come si comporterà il dodo o il tilacino, o un
mammut che abbia un DNA misto, quali istinti prevaleranno nel loro comportamento e
ancora, a quale animale si rapporteranno come genitore, e questi “genitori” sapranno
istruirli?
Viene anche da pensare che sarà una vita crudele per questi animali creati in laboratorio,
sempre che la Colossal Biosciences riesca nel suo progetto. Come faranno gli scienziati a
dare una scuola di vita a queste specie animali innaturali, specie che potrebbero anche
sfuggire al controllo dell’uomo con comportamenti imprevedibili?
Forse la ricerca genetica condotta in nome della scienza, può a volte aiutarci a
comprendere meglio le relazioni tra le specie e a proteggere le creature viventi da minacce
come le malattie.

Ricreare però, repliche di specie estinte da migliaia di anni, oltre che essere crudele la
replica in laboratorio, potrebbe portare a far nascere animali deboli e delicati, con istinti
incompatibili con loro stessi, che potrebbero condurre una vita di sofferenza.
Se manterranno l’obiettivo, la Colossal Biosciences pensa di fare arrivare entro il 2028 il
primo esemplare di mammut. A loro dire sembrerebbe che siano a buon punto.
Da precisare che 200 milioni di dollari sono stati dati dal fondo Twg Global di Mark
Walter, un miliardario statunitense. In precedenza, altri grandi investitori ci hanno
creduto, tanto è che in soli tre anni, la startup ha raccolto investimenti pari a 435 milioni di
dollari, raggiungendo una valutazione di 10,2 miliardi di dollari.
Ma il pensiero più vivo che batte come il martello è: che senso ha tutto questo?
Questa quantità di denaro non potrebbe essere piuttosto usato per finanziare la
protezione di animali presenti sul nostro pianeta in via di estinzione? Oppure, perché non
dare un concreto aiuto per la fame nel mondo? Pensate quanti bambini potrebbero essere
aiutati a sopravvivere…
Come sempre, l’essere umano dalle grandi capacità, spesso usa il talento per scopi inutili e
assurdi; sarebbe da dire braccia rubate all’agricoltura.

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