Strage di Ustica: 45 anni dopo ancora un mistero

CONCLUSIONI DI UNA INCHIESTA

di Marco Delpino e Vittorio Dal Piano

Le quattro puntate dell’inchiesta che abbiamo pubblicato su questo giornale online sono state interamente tratte dal numero 2 (aprile 2021) della rivista bimestrale “Bacherontius”, pubblicata a Santa Margherita Ligure (Genova) dal 1969.

Tuttavia, a 45 anni di distanza da quel tragico 27 giugno 1980, possiamo dire che la “vicenda” di Ustica è rimasta senza una precisa risposta, nonostante la declassificazione (nel 2023) di un documento del Colonnello Stefano Giovannone in cui si segnalava (lo stesso giorno della sciagura) la probabilità di «una situazione di pericolo a breve scadenza»; nel documento (oggi pubblicamente reperibile) si parlava di «due operazioni da condurre in alternativa contro obiettivi italiani: dirottamento di un DC9 Alitalia» od «occupazione di una ambasciata». Giovannone era l’ufficiale che gestì il cosiddetto “lodo Moro”, un patto che avrebbe garantito in Italia libertà di movimento al Fronte Popolare per la liberazione della Palestina in cambio dell’immunità del nostro Paese dagli attentati. A seguito della desecretazione di questo documento, qualcuno è tornato a parlare dell’ipotesi della “bomba a bordo” dell’aereo. Ma, come ha scritto di recente l’avvocato Alessio Gamberini, che tutela l’Associazione dei Parenti delle Vittime di Ustica, «sulle ragioni e sugli autori dell’abbattimento del DC9 dell’Itavia si possono avere molte opinioni, ma l’unica ragione che può essere tranquillamente esclusa è proprio quella della bomba, che fu la prima che si affacciò nel corso delle lunghe indagini e fu indagata per molto tempo dal giudice Rosario Priore alla luce dell’unico luogo nel quale poteva esser stata collocata: la toilette posteriore destra, adiacente al motore dell’aereo che per primo si staccò». Ancora l’avvocato Gamberini: «Furono effettuate perizie frattografiche che esclusero qualsiasi segno di esplosione interna a quella toilette; addirittura fu rinvenuta sul luogo dei rottami nel fondo del mare l’asse intatto di copertura del water. Si aggiunga ancora che nessuna traccia dell’esplosivo si rinvenne su alcuni corpi recuperati che viaggiavano in immediata adiacenza alla parete della toilette».

Possiamo ricordare che il processo originale su Ustica ebbe inizio il 31 agosto 1999 da parte del giudice Rosario Priore e durò parecchi anni, fino al 10 gennaio 2007 in cui fu confermata la sentenza del 15 dicembre 2005 con la piena assoluzione dei militari dell’euronautica all’epoca inquisiti (come abbiamo già scritto nella terza puntata della nostra inchiesta). Tuttavia il 21 giugno 2008 la Procura di Roma riaprì l’inchiesta su Ustica a seguito delle dichiarazioni dell’ex Presidente la Repubblica Francesco Cossiga, mentre il 10 settembre 2011 la terza sezione civile del Tribunale di Palermo condannò i Ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire i parenti delle 81 vittime. Il 22 ottobre 2013 la terza sezione civile della Corte di Cassazione dispose un nuovo processo d’appello per valutare la responsabilità dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento della compagnia “Itavia”. In questa sentenza, la Suprema Corte confermò che ad abbattere il DC9 fu un missile e che le indagini furono depistate. Ci furono, infine, due sentenze civili: l’11 marzo 2015 in cui la Corte d’Appello di Palermo confermò la condanna dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento ai familiari delle vittime, ribadendo che ad abbattere il DC9 fu un missile e che non furono garantite adeguate condizioni di sicurezza al volo, e il 25 marzo 2020 in cui la Corte d’Appello di Roma condannò i Ministeri a risarcire anche la Compagnia privata “Itavia” per il danno aggiuntivo subito in seguito alla revoca delle concessioni.

Giustamente nel puntuale libro intitolato “Ustica”, pubblicato nel giugno 2021 come supplemento al quotidiano “La Gazzetta dello Sport”, lo scrittore Giacomo Pellizzari, docente presso l’università di Milano-Bicocca, nelle conclusioni finali osserva che «la strage di Ustica rappresenta davvero un “vaso di Pandora”. Si scelse perciò di non scoperchiarlo, perlomeno non subito. E lo si fece di comune accordo con i Paesi alleati, accettando qualunque compromesso». E ancora: «Per fortuna, però, grazie alle reazioni dell’opinione pubblica, al lavoro incessante di un magistrato che aveva intuito la verità ed era deciso a perseguirla e alla caparbietà dell’Associazione dei Parenti delle Vittime di Ustica, le ferite sono rimaste aperte e il tentativo di suturarle malamente smascherato. La strage resta impunita, ma la dinamica dell’accaduto e la inutile volontà di nasconderla sono sotto gli occhi di tutti». Nessuno, sia chiaro, è depositario della verità, anche se la verità su Ustica, purtroppo, rischia di non venire mai a galla.

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