CinemItalia. Approfondimento – “ Mary Shelley – Un amore immortale” e la nascita di Frankenstein

di Maria Antonella Pratali

Tutti conosciamo il mostro di Frankenstein, se non altro attraverso un travestimento ancora usato a Carnevale, che riproduce una delle maschere più famose e imitate del cinema horror (creata dall’attore inglese Boris Karloff e dal truccatore Jack Pierce nella pellicola di James Whale del 1931).
Molti conoscono il mito attraverso una delle sue più divertenti parodie, il film “Frankenstein Junior” di Mel Brooks (1974). I più rockettari non dimenticano la rielaborazione di Jim Sharman con il musical “Rocky Horror Picture Show” (1975), riproposto innumerevoli volte ancora oggi nei teatri di tutto il mondo. “Povere creature”, di Yorgos Lanthimos (tratto dall’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray, 1992) non potrebbe esistere senza l’archetipo del dottor Frankenstein e della sua creatura. Moltissime sono le opere cinematografiche ispirate a questo mito, dal cinema muto ai giorni nostri. E non finisce qui. A novembre 2025 comparirà su Netflix il film di Guillermo del Toro “Frankenstein”.

Ma dove e grazie a chi nasce il personaggio del dottor Victor Frankenstein e dell’essere da lui creato?
Nel 1816 a Villa Diodati, sul lago di Ginevra, i poeti romantici George Byron e Percy Bysshe Shelley, insieme al medico e scrittore John Polidori, Mary Wollstonecraft Godwin e la sorella Claire, in una notte tempestosa si sfidano a scrivere storie di fantasmi. Ne nascono due capisaldi della letteratura e, in seguito, della cinematografia: “Il vampiro” di Polidori, che precede di decenni il “Dracula” di Bram Stoker, e “Frankenstein o il moderno Prometeo” di Mary Wollstonecraft Godwin, meglio nota come Mary Shelley dopo il matrimonio con il poeta.
Il film “Mary Shelley-Un amore immortale” (2017), della regista saudita Haifaa al-Mansour, visibile sulla piattaforma Prime, ricostruisce la genesi del celebre romanzo, intrecciando biografia, passione e letteratura attraverso una narrazione gotica e intimista. Lungi dall’essere un semplice “biopic”, il film non si limita alla rievocazione letteraria, ma indaga il legame profondo tra le vicende personali e la creazione artistica.  Ci permette di capire che la creatura di Frankenstein non è solo un “mostro” che suscita orrore per il suo aspetto, ma un essere che soffre per essere stato abbandonato da quello che lui considera padre, per essere fuori dalle relazioni umane, per la sua emarginazione. Il dolore della creatura riecheggia le esperienze di Mary, più volte abbandonata, esclusa, silenziata. Il suo romanzo può essere pubblicato dapprima solo in forma anonima e viene attribuito al marito, noto poeta. Il genio poteva appartenere esclusivamente agli uomini. La scena in cui Mary rivendica la paternità del romanzo è un’affermazione di identità: “Questa è la mia voce”.

È un film sulla potenza dell’immaginazione femminile e sulla capacità di generare, nel cuore della tempesta, qualcosa che duri per sempre, come Frankenstein.

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