Il profeta del Monte Amiata

La storia di Davide Lazzaretti, stimato da don Bosco, Pascoli e Gramsci, propugnatore di un cristianesimo rinnovato e puro, mescolato a istanze socialiste

 

di Gianfranco Andorno

La Maremma amara, maledetta, nei canti popolari era un terreno paludoso e insalubre. La malaria ammorbava e rendeva pericolosi il passaggio e la permanenza. D’estate la popolazione residente doveva fuggire e rifugiarsi sulle alture.

Il primo ad occuparsene fu Leopoldo II di Lorena, granduca di Toscana, che con altri definiva la maremma una figlia inferma. Così, nel 1828 ebbe inizio la bonifica, definita in seguito un’epopea. Le acque melmose venivano filtrate e purificate e mandate a “colmare” i terreni pantani. La bonifica venne completata negli anni venti con una colonizzazione che condannava il latifondo e promoveva l’inserimento delle piccole proprietà. Non so con quanta consistenza ma la paragono alla Camargue egualmente paludosa. Dove, a Saintes Maries, si svolge la pittoresca festa dei gitani che venerano Sarah la nera, loro patrona. Sul barcone scorri lentamente la foce del Rodano, le sue bocche e sulla sponda ecco l’irrompere impetuoso di un branco di bianchi cavalli selvaggi che ti meraviglia. Quasi un miraggio.

La Maremma adesso è più salubre dell’acquitrinosa sorella francese. E ci sono i butteri, abbigliati di fustagno, abili nel cavalcare e condurre le mandrie. Sono i cowboys, i vaqueros, italiani. Sul fondo della collina, a faccia, c’è Roselle città etrusca e romana con i resti delle vestigia. L’anfiteatro, le terme, i mosaici. Passando sotto un arco, un valico abbastanza angusto, si accede alla salita. Il verde smeraldo dei prati è incerottato dal vello giallastro delle pecore. I paesini sono macchie grigie, sembra che la pietra, la roccia e l’argilla, abbiano ripreso il potere. Da lì si sale al Monte Amiata, un antico vulcano spento. Dall’altra parte del pendio c’è il prezioso vino rosso di Montalcino. Qui invece c’è il Morellino di Scansano. I vitigni sono in basso, dove il cammino si inerpica e l’ascesa si fa più scoscesa ci sono faggi, castagni e querce. Ecco Arcidosso. Siamo negli anni intorno al 1870 e qui risiede Davide Lazzaretti. Lavorava come barrocciaio, conduceva carretti che trasportavano minerali. Ha anche imbracciato lo schioppo con i piemontesi contro i papalini, è persino padre di cinque figli ma ora è tutto cambiato. Ha avuto le visioni ed è diventato un predicatore. Per rigore di cronaca occorre ricordare che le visioni hanno coinciso con febbri alte che lo hanno assalito, sicuro omaggio della malaria maremmana. Da fiero bestemmiatore, si converte e, dopo aver fatto penitenza in una grotta, inizia il suo proselitismo. Il Messia, così si autonomina, propugna un cristianesimo rinnovato e puro, mescolato a istanze socialiste. Ha edificato la Turris Davidica, suo eremo, sormontata da una croce di ferro e i casolari per la comunità che si è creata attorno a lui. Ha un buon successo di seguaci. Il monte Labbro, monte nel monte, per lui diventa il Monte Labaro. La sua dottrina, chiamata giurisdavinica, rivolta ai bisognosi, ai diseredati, incontra il favore di chi ha eguali rivalse, proponimenti. Proclama la pratica della povertà evangelica. Parla anche di una volontaria comunione dei beni. Si direbbe quasi un comunismo mistico. Tra i suoi estimatori Don Bosco, che lo ospita e lo difende durante un suo arresto per truffa e vagabondaggio. E Pascoli, anni dopo, scriverà: “codesto barrocciaio, commosso da un nuovo impulso di fede viva, mi sembra un simbolo”. Gramsci, nei suoi quaderni dal carcere, gli dà ampio spazio in uno studio sulle classi subalterne. Sulle prime Il Vaticano lo appoggia pensando di usarlo contro lo stato di Vittorio Emanuele II, la breccia di Porta Pia è ancora fresca, avviene persino un’udienza con Papa Pio IX, anche se lui, il Lazzaretti, riferisce di essere stato trattato come un matto e imbecille. La Chiesa ufficiale tende a mettere la sordina alla contesa, al suo dogmatismo, ma lui esagera. Si definisce il re dei re, l’unto del Signore. Insiste con le sue visioni, i suoi deliri. E nel marzo del 1878 il sant’uffizio lo scomunica e lo condanna come eretico. Colui che era stato additato dalla Curia Romana come un San Francesco diventa un ladro di anime. Tra l’altro inneggiava sempre alla repubblica: se le cercava proprio tutte! Non immagina che il suo trionfo avrà un tragico epilogo, ma dagli scritti emerge che in parte ne è consapevole. C’è la previsione di un sacrificio che lui, in quanto Cristo Novello, per la Redenzione degli uomini non disdegna.

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Agosto 1878. Dal suo eremo, a capo di migliaia di persone, scende a valle. Lui indossa una camicia rossa, ha un mantello azzurro e uno scettro piumato, le fanciulle vesti bianche e corone di fiori. Una schiera di carabinieri e qualche bersagliere si oppongono alla processione anche se pacifica. “In nome della legge sciogli il corteo”, gli intima il delegato con il cilindro e la fascia tricolore. Lui si avvicina: “Io vi porto la pace, la misericordia”. Dalla parte dei davidiani parte qualche sasso e uno colpisce il funzionario che ordina il fuoco. Con mira dedicata un proiettile lo coglie in testa e Davide stramazza a terra. La folla si disperde, sull’acciottolato rimangono tre contadini uccisi e il profeta morente assistito da qualche fedele. Una breve agonia e il giorno dopo, invano, sarà attesa la sua resurrezione. I suoi adepti vengono processati per attentato alla sicurezza dello stato e assolti. Perché l’eccidio? Forse si voleva estirpare Il germe delle future unioni dei braccianti agricoli e le loro lotte? Mi viene a mente la strage di Portella della Ginestra, il primo maggio di 69 anni dopo, attribuita a Salvatore Giuliano. Questa un ramo di quelle radici? L’eccentrico antropologo Lombroso si impossessa delle sue spoglie, le analizza alla ricerca di una follia criminale. E infine sentenzia: “era un pazzo!” Scarna l’eredità del Messia Lazzaretti: la Fratellanza Giurisdavidica e alcune comunità che si ispiravano a principi simili, smarrite nei tempi. Pochi cimeli nei musei locali a testimonianza del suo avvenuto cammino. I vandalismi riducono in macerie il centro mistico. Perfino la campana della Chiesa viene trafugata e venduta. Opera completata dall’esercito che nelle sue manovre sceglie il Monte del Divino Maestro come bersaglio dei mortai. Un caso o è la decisione di voler tenebrare un chiarore che dava fastidio?

Nella foto sbiadita dal tempo: Davide Lazzaretti, il “Messia del Monte Amiata”.

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